A ben 5 anni dall’uscita di AEnima, considerato una pietra miliare del rock e prog-rock degli anni ’90, esce Lateralus che contribuisce a dare una nuova sferzata di fresco nel panorama musicale, ma soprattutto a sancire una maturità artistico-musicale alla portata di pochi.
Premettiamo col dire che siamo parlando dei Tool, bisogna perciò necessariamente partire dal presupposto che non si sta parlando di una band normale, ma di un oggetto completamente anomalo nel panorama musicale contemporaneo rispetto al quale ogni paragone con altri gruppi può risultare fuorviante. Lateralus compie un passo coraggioso sia in ambito musicale, che nell’ambito della psicologia umana.
Indubbiamente la musica proposta dai Tool non è per tutti, non solo per la sua durezza, ma soprattutto per la sua estrema complessità interpretativa, rifiuta la consueta “forma canzone” (ritornello-strofa-ritornello) creando dei brani in continua evoluzione e dalla durata media di 7-8 minuti (quasi fossero mini-opere). Di certo la loro musica può non piacere a tutti, ma di certo non lascia indifferente l’ascoltatore.
I Tool sono cresciuti ed hanno imparato a formalizzare il loro flusso di emozioni, sublimato in una musica comunque sempre introversa. Oggi i Tool scrivono canzoni che stanno in piedi da sole, pur non negando la complessita` strutturale che da sempre accompagna la loro proposta. “.
Tutto il disco é strutturato sul concetto di `crescendo`: i brani partono quietamente per poi decollare in progressioni irresistibili. “Schism”, canzone simbolo dell’album, che mischia una sorta di arpeggio sincopato eseguito dal basso con una chitarra ambient, che rasenta, sul ritornello, un hard rock zeppeliniano basato su scale pentatoniche. Il tutto sfocia in un ponte psichedelico dapprima soft, poi incalzante fino a raggiungere un heavy metal accompagnato da riff di batteria di notevole complessità ritmica. Può venir presa come emblema di questo album caratterizzato da continue variazioni di stile e ritmiche, con il prodigioso lavoro del batterista Danny Carey che senza peccare di idolatria può venir tranquillamente considerato tra i maggiori esponenti del suo strumento.
Ne è un altro esempio “Parabola”, brano preceduto dalla mini-traccia “Parabol”, strutturato su una base ritmica dapprima in quattro quarti che si perde talvolta su ritmi dispari letteralmente allucinanti. Da ricordare pezzi come l’introduttiva e potente “The Grudge”, che unisce ad un metal durissimo, intermezzi di melodia che lasciano storditi, oppure la stupenda “The Patient” o ancora la deflagrante “Ticks and Leeches”.
Caratteristica globale del disco è il “crescendo” di tutti i pezzi, gli intermezzi ipnotici e le ritmiche tribali. I testi di Maynard James Keenan profondi e criptici dipingono paesaggi oscuri e apocalittici con frequenti riferimenti all’occultismo, alla morte, alla psicologia umana, al sesso ma anche alla matematica e all’astronomia e comunque in modo mai diretto, ma usando allusioni e metafore che si prestano a infinite interpretazioni. La voce di Keenan è sicuramente fra le più particolari e inconfondibili che si possano ascoltare; è impressionante la facilità con cui passa da una rabbia urlata a una pacatezza quasi mistica.
Sicuramente ha fatto tesoro della sua esperienza con gli A Perfect Circle e questo ha portato una maggiore attenzione alla melodia all’interno dei Tool. In conclusione, un disco da avere perché sarà ricordato per lungo tempo, se non come esempio, come un’opera d’arte irriproducibile.
articolo scritto per e tratto da impattosonoro.it