Sparta – Wiretap Scars
di SKA su Cultura il 14 Settembre 2004, 00:14
Cronologicamente parlando sono i secondi geniti della spaccatura degli At The Drive-in. Orfani della grande voce di Cedric Bixler e delle follie musicali di Omar Rodriguez approdati nei “The Mars Volta”, gli Sparta non concedono però all’ascoltatore nessun tipo di rimpianto.
Sono evidenti i tratti musicali che provengono direttamente dal precedente progetto anche se diminuiscono le sperimentazioni e protagonismi strumentali, lasciando spazio ad un prodotto più omogeneo e globalmente più melodico. Alcuni dei pezzi provengono direttamente dal recente EP “Austere”, con la potente “Mye” che riprende le fila dell’Emo o Post Punk caricandolo di una rabbia che Jim Ward riesce a trasmetterti direttamente nelle vene, così; come anche l’opener “Cut your Ribbon” o “Glasshouse Tarot”.
Ma sarebbe limitativo ascoltarli e comprenderli soltanto in paragone agli ATDI, gli Sparta sono un’ottima band che riesce in molti episodi a discostarsi da melodie già sentite e riproposte. Ne sono un esempio la bellissima “Cataract”, con un’atmosfera fuori dal tempo, emotività alle stelle accompagnata da una batteria foderata di piatti che va ad aprirsi accompagnata da chitarre distorte e potenti nel chorus.
Un ritorno alla smarrita pratica dei cambi secchi tra linee indie e hard-rock, accompagnata da una nuova armonia ed ottime basi melodiche, con Jim Ward come fulcro di questo progetto. Poca elettronica, quanto basta per arrotondare la grezzità dei suoni, ottime ritmiche provenienti dalla batteria che si circoscrive anch’essa in quell’omogeneità che accompagna l’intero disco, senza quelle ribellioni che eravamo soliti ascoltare nel passato.
Abbiam fatto riferimento ad una nuova melodia, ne è manifesto la splendida “Collapse” : lenta e malinconica nella sua rabbia, ipnotica nel finale. Dolce armonia anche in “Red Alibi” e trionfale ingresso del pianoforte in “Echodyne Harmonic”.
Da fan dei defunti At The Drive-In non posso certo non elogiare questo album, che fa balzare le orecchie indietro di qualche anno scoprendo la bellezza di questo disco di un Rock all’apparenza defunto. Non sarà di certo nella Top Ten dei migliori album della stagione, ma vi assicuro che vale veramente la pena averlo.