Dropshipping: cos’è e come avviare un’attività

di SKA su Marketing il 28 Giugno 2019, 15:44

Qualche settimana fa mi stavo occupando dell’aggiornamento di un piano marketing per un’azienda di e-commerce e durante la riunione conclusiva è saltata fuori l’idea Dropshipping. Dopo qualche sguardo incerto tra tutti i presenti è stato necessario studiare meglio l’argomento e valutarne la reale fattibilità aziendale. 

L’aspetto interessante del dropshipping – nel nostro caso per un segmento aziendale di riferimento – è la possibilità di creare un’attività senza bisogno di avere a disposizione capitali di partenza, magazzini o dipendenti dedicati.

Ma forse bisogna fare un passo indietro. Il dropshipping è più che altro un metodo di vendita tramite cui il venditore mette in vendita il prodotto senza però la necessità di possederlo materialmente in magazzino. In sintesi estrema: l’acquirente richiede il prodotto al venditore – con funzione da intermediario, in pratica –  che a sua volta trasmette l’ordine al fornitore (il dropshipper) che provvederò a spedire la merce direttamente all’acquirente finale.

Il venditore che sta in mezzo a questo schema si occupa del marketing e della pubblicizzazione del prodotto, rimuovendo tutte le spese di magazzino e logistica (imballaggio e spedizione).

Possiamo dire che avviare un’attività online con Dropshipping sia tutto sommato una cosa semplice e vantaggiosa. Esistono vantaggi sia per i venditori che per i fornitori: i primi non dovranno avere un capitale di merce di partenza, magazzini o dipendenti dedicati alla logistica, ma soltanto relativamente all’area vendita e marketing.
Anche per il fornitore è però un vantaggio: si può estendere la propria rete di vendita, potenzialmente in tutto il mondo, o comunque penetrando in mercati non ancora coperti, senza doversi insediare con la propria azienda. Sarà l’azienda del venditore ad occuparsi della parte istituzionale.

Gli svantaggi ci sono e di solito riguardano la marginalità sul prodotto, che implica la necessità di realizzare elevati volumi di vendita. Sia per il venditore che per il fornitore i margini di guadagno rischiano di abbassarsi notevolmente a causa dell’alta competitività del mercato, in particolare quello online, in cui è di solito il prezzo più basso a spuntarla.

Altro problema potrebbe essere quello relativo all’approvvigionamento: per il venditore non avere un magazzino di riferimento in tempi brevissimi, potrebbe comportare una difficoltà oggettiva nel trovare la merce o verificarne l’effettiva disponibilità. Sarà compito di entrambe le parti fare in modo che i sistemi di comunicazione siano impostati nel miglior modo possibile prima di avviare l’attività.

Il dropshipping rappresenta indubbiamente una modalità interessante da sfruttare nei casi in cui si vogliano esplorare dei mercati – in entrambe le direzioni – o si voglia un’attività di vendita sul quale si è particolarmente ferrati. Un metodo semplice e molto veloce per avviare un business online senza praticamente nessun investimento iniziale, a parte quello di: un buon sito web, una gestione adeguata di tutto il comparto del digital marketing ed un customer service. 

 

 

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Prodotti di consumo: ponti globali tra culture differenti

di SKA su Marketing il 21 Giugno 2019, 14:14

Nell’ultimo decennio la diffusione di nuove tecnologie digitali – in particolare con la diffusione penetrante e pervasiva dei servizi in streaming – ha innescato molte trasformazioni nel mondo della produzione ma soprattutto del consumo culturale.

Già dall’inizio del secolo la digitalizzazione aveva avviato una trasformazione sostanziale nel consumo di oggetti culturale come musica, film, libri, giornali quotidiani, ma nell’ultimo decennio – grazie ad infrastrutture internet più performanti ed attraverso devices portatili sempre meno costosi e più alla portata delle grandi masse – il flusso immateriale di dati è divenuto una costante imprescindibile, invertendo la tendenza (e i margini) del supporto fisico che l’ha fatta da padrone per tutto il secolo precedente.

Ma il punto non è tanto l’effetto diretto del processo di digitalizzazione degli oggetti culturali in sé ad essere interessante, quanto il suo effetto indiretto nell’aumento del consumo stesso di quei prodotti culturali – in particolare serie tv e film su internet – che hanno visto un’esplosione incrementale negli ultimi anni. L’osservazione delle dinamiche dei mercati e la traiettoria di penetrazione degli oggetti culturali digitali all’interno dei rispettivi settori, ma soprattutto all’interno dei singoli paesi. In questo contesto un po’ atipico per per le abitudini di consumo dal quale proveniamo, più aumenta l’offerta più aumenta la domanda all’interno dei mercati globali e a cascata nazionali.

Quindi con l’esponenziale riversamento di contenuti dal quale siamo inondati si è venuto a generare un nuovo mercato – o meglio, un nuovo impulso con rinnovate esigenze – riguardanti l’adattamento e la traduzione professionale della mole di contenuti che possano soddisfare al meglio la domanda e l’offerta sul piatto. Non si gioca più tra amatori, fan e sottotitolatori per hobby – se pur impavidi condottieri – ma il mondo dei produttori di consumo devono adattarsi a un mercato globale in costante espansione, ma soprattutto alle esigenze dei singoli consumatori affidandosi al lavoro di mediatore culturale per la traduzione.

Che non si tratta più di mera traduzione: i traduttori in questi contesti, soprattutto su nicchie molto verticali, svolgono sempre di più il lavoro di mediatore culturale che di mera traduzione ed adattamento. Cosa significa essere mediatori culturali lo spiega bene Sergio Portelli, curatore del volume “Traduttori come mediatori culturali”

Essere mediatori culturali significa andare oltre l’aspetto meramente linguistico. Significa trasporre il testo da una cultura all’altra per permettere al lettore nella cultura d’arrivo di accedere il più possibile all’atmosfera, al significato e all’effetto del testo originale. Le culture non sono perfettamente sovrapponibili, perciò il traduttore deve trovare nella lingua di arrivo il modo per rendere gli elementi che caratterizzano il testo di partenza. Ciò non significa addomesticare l’originale, nel senso di eliminare ciò che è estraneo alla cultura d’arrivo. È un processo delicato che costituisce la sfida che il traduttore deve affrontare, nel rispetto sia del testo di partenza sia del lettore nella cultura d’arrivo

Non si tratta quindi di adattamento e la traduzione professionale della mole di contenuti o prendere parola per parola il testo dello script che si ha davanti in maniera acritica, ma sono necessari approfondimenti su entrambe le culture di riferimento, studio e comprensione per evitare bizzarrie o superficialismi. Pontieri tra le culture.

Il consumo culturale è, oggi ancora di più, la finestra tramite il quale ci affacciamo e facciamo affacciare culture diverse dalle nostre per osservarne la diversità o per migliorare noi stessi, è una delle principali frontiere di trasformazione simbolica e sociale del mondo contemporaneo. In un mondo che vuole essere veramente globale devono essere costruiti ponti, non ostacoli o barriere.

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Guida alle elezioni europee: come si vota, le candidature, i programmi, le alleanze – Valigia Blu

di SKA su ControInformazione, Cose dette da altri, Notizie Commentate il 17 Maggio 2019, 10:20

Le elezioni europee si avvicinano. Abbiamo preparato una breve guida per orientarsi al voto: quando bisognerà andare alle urne, come funziona le legge elettorale in Italia, quali sono le funzioni del Parlamento europeo e perché questa elezione è importante per la scelta della nuova presidenza della Commissione europea. Abbiamo anche riassunto i programmi elettorali delle maggiori forze politiche italiane, suddividendoli per tematiche.

Un grande classico delle tornate elettorali, soprattutto quelle più complesse come sono queste Europee: l’articolone di Valigia Blu, che resta sempre la fonte più autorevole cui affidarsi in ambito informativo.

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Ogni giorno muoiono 3 persone sul lavoro in Italia. E a nessuno interessa. – The Vision

di SKA su ControInformazione, Cose dette da altri il 6 Maggio 2019, 11:41

Lo scorso 28 aprile, nello stabilimento ex Ilva di Taranto, si è verificato un incidente che ha posto a serio rischio la vita dei lavoratori. Durante la fase di colata un’onda di acciaio incandescente ha investito tutta la linea coprendo il coperchio della lingottiera. Fino a qualche minuto prima gli operatori si trovavano in quel punto esatto per il cambio di un tubo; poi un boato li ha messi in fuga e così nessuno è rimasto coinvolto. “Questa tipologia di evento incidentale si è verificata diverse volte anche in passato, ogni volta i lavoratori escono incolumi per pura fortuna e ogni volta puntualmente denunciamo l’accaduto”, ha spiegato Francesco Rizzo, coordinatore provinciale del sindacato Usb. In effetti, lo stabilimento tarantino compare costantemente sulle pagine della cronaca locale e nazionale. L’8 aprile, la rottura delle funi di una gru ha causato la caduta di un rotolo di lamiera d’acciaio che per pura coincidenza non ha colpito nessun operaio. A marzo, la struttura adoperata al sollevamento di un tombino metallico ha ceduto, cadendo sul piede di un operaio a cui è stato amputato un dito. A febbraio un altro addetto è rimasto ustionato, dopo essere stato investito da un getto di acqua bollente.

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L’arresto di Julian Assange e quella minaccia al giornalismo e alla libertà di informazione – Valigia Blu

di SKA su Cose dette da altri, Notizie Commentate il 12 Aprile 2019, 14:17

Dopo 2487 giorni nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, è stato arrestato dagli ufficiali della Metropolitan Police della capitale britannica intorno alle 10.30 del mattino, ora locale, dell’11 aprile.

Gli ufficiali di polizia stavano eseguendo un mandato spiccato dai magistrati della Corte di Westminster a cui se ne è aggiunto, due ore più tardi, un altro dovuto alla richiesta di estradizione di Assange negli Stati Uniti.

I casi che lo riguardano e che hanno portato all’arresto sono dunque due. Il primo, dicono le autorità, concerne la violazione compiuta da Assange della sua libertà cauzionale entrando nell’ambasciata, dove aveva trovato – sotto la precedente e ben più amichevole presidenza di Rafael Correa – asilo per fuggire a una richiesta di estradizione in Svezia. Lì avrebbe dovuto essere interrogato all’interno di un’inchiesta per un caso di molestie sessuali a lui attribuite da due donne. Assange aveva provato la strada del ricorso, perdendola – da cui il mandato spiccato, ed evaso, a giugno 2012. Il caso era stato archiviato dalle autorità svedesi nel maggio 2017, “dopo che la Svezia, per sette anni”, nota Stefania Maurizi, “ha mantenuto l’indagine alla fase preliminare senza incriminarlo né scagionarlo una volta per tutte”.

Il secondo riguarda una questione dalle conseguenze molto delicate per il giornalismo, la libertà di stampa e di espressione. Assange aveva sempre sostenuto che la richiesta di estradizione in Svezia ne celasse, in realtà, un’altra verso gli Stati Uniti, dove temeva di finire processato come “spia” secondo la durissima – e criticatissima – norma del 1917 chiamata “Espionage Act” per il materiale pubblicato da WikiLeaks tra il 2010 e il 2011.

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Scarpe, un mercato che cresce senza sosta: dal 2010 al 2025, il boom tra dati e previsioni

di SKA su Marketing il 10 Aprile 2019, 17:30

Il mercato delle calzature, dal 2014, ha cominciato a vivere un vero e proprio boom: oggi come oggi, ogni anno, si fabbricano oltre 23 miliardi di calzature, pari ad un valore di 216 miliardi di dollari, se si fanno i conti con l’anno 2016. Per il 2025 la crescita è stimata intorno ai 278 miliardi totali. I mercati di produzione sono quelli asiatici, nove-decimi del totale, ma in questo mondo c’è anche l’Italia, che si sta ritagliando un posto di assoluto rilievo. Dal 2010 la produzione è andata vieppiù crescendo, arrivando a contare 20 miliardi di paia di scarpe per soli, si fa per dire, 7 miliardi di esseri umani. Nel 2014 la produzione è aumentata, ha toccato i 23 miliardi, come nel 2016. Ma le previsioni per il 2025, poc’anzi anticipate, danno maggiori chiarimenti circa un fenomeno sempre più globale.

Le calzature oggi rappresentano il top della moda e poi sempre più persone fanno attività sportiva e indossano scarpe di ginnastica. Il mercato più grande è quello asiatico, in cui vengono prodotte scarpe di ogni tipo, per ogni età. Sei paia di scarpe su dieci arrivano dalla Cina che, però, negli anni ha perso un -2% a favore di India, Indonesia, Vietnam, Bangladesh, luoghi in cui il lavoro, come noto, costa molto di meno e le stesse aziende cinesi stanno trasferendosi via via in queste zone, arrivando però anche in Africa, Turchia e Brasile, paesi meno aggressivi economicamente e che però hanno appreso e affinato l’arte della produzione di calzature. In Europa, fieramente, si erge l’Italia che in questo particolare mercato ha un ruolo sempre più centrale: secondo il Footwear Market Yearbook il nostro Paese, nel 2016, era il terzo principale esportatore di calzature al mondo, capace di incassare, vendendo al di fuori dei confini nazionali, circa 10 miliardi di dollari, l’8% di un mercato di 122 miliardi di dollari per quel che riguarda le esportazioni mondiali. Significa che in 10 anni il nostro paese ha accresciuto il valore del 78%. La Cina, nel 2016 come oggi, si conferma il primo esportatore, capitalizzando il 36% del totale per quel che concerne il valore mondiale delle esportazioni. Al secondo posto c’è il Vietnam, col 17% dei ricavi totali. In questa classifica la Cina comanda anche per numero di persone che sempre più indossano scarpe quotidianamente: nel paese del dragone all’anno si vendono 4 miliardi di paia di scarpe. In Inda se ne vendono 2,2 miliardi. In Asia, se la matematica non è una opinione, vanno a finire il 40,5% delle scarpe prodotte e messe in vendita.

Chi spende di più? USA e Canada superano tutti: nel 2016 dall’America del Nord è stato speso circa il 36,5% del totale degli affari ma la crescita dell’Oriente sta decisamente soppiantando il dominio, ormai solo presunto, dell’Occidente. Chi domina, nel mondo delle calzature? Società con cui siamo a contatto tutti i giorni: Adidas, Nike, New Balance. Multinazionali più che aziende capaci di escogitare più sistemi per vendere in maniera vincente.

Le Sneakers la fanno sempre da padrone nella scelta dei modelli, ma anche i mocassini oltre ai modelli classici del passato rivisitati in chiave moderna sono presentati dalle aziende simbolo del lusso (controlla qui), come Bugatti che si distingue nell’ideazione e produzione di automobili di lusso da ben 110 anni.

Un altro must have delle collezioni moda primavera estate 2019 è l’utilizzo di indumenti e calzature pensate e prodotte per lo sport e poi utilizzate nella vita quotidiana e che grazie alle elevate prestazioni risultano superlative nella vita di tutti i giorni, come puoi constatare guardando qui. I negozi tradizionali si sono visti messi da parte in favore di quelli digitali, da colossi dell’e-commerce come Zalando, capace di chiudere il 2017 con un aumento dei ricavi del 23,4%. Quando si può avere tutto a portata di click. La crescita attuale è stata possibile soprattutto grazie al ramo del mondo delle calzature non propriamente sportivo: da scarpe casual fino agli stivali militari, scarpe da sera, sandali, prodotti che pesavano il 53% del fatturato complessivo, completato dalle scarpe sportive. Le calzature sono sempre più l’accessorio di moda per antonomasia, fatti in ogni modo: pelle, tessuti, plastica e gomma, che finora hanno pesato, da sole, per il 26% totale del mercato. Quelle più vendute sono le calzature da donna, grazie anche ai marchi specializzati sempre più proliferanti.

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Ecommerce: gli italiani acquistano soprattutto elettronica e scarpe comode – Ninja Marketing

di SKA su Cose dette da altri, Marketing il 10 Aprile 2019, 14:43

Elettronica, moda e calzature (le sneakers in particolare), sono le categorie merceologiche più desiderate online dagli italiani. Il 76% degli acquirenti digitali effettua in media almeno un acquisto online al mese. La maggior parte delle ricerche online è effettuata da uomini, in Italia il loro peso è pari al 59,2% mentre quello delle donne si attesta sul 40,8%. E’ quanto emerge dal report sul comportamento d’acquisto degli italiani in rete e la trasformazione tecnologica e sociale innescata dall’e-commerce nel contesto italiano elaborato dal portale di comparazione prezzi idealo. I dati dello studio comprendono le statistiche sulle categorie merceologiche più cercate online, interessanti indicazioni sui differenti profili demografici degli utenti in materia di abitudini d’acquisto digitale e dati relativi alla rivoluzione mobile innescata da un sempre maggiore utilizzo dello smartphone.

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Il giro dei giochi online: un introito mondiale da 44 miliardi

di SKA su Notizie Commentate il 8 Aprile 2019, 09:15

I giochi online hanno subito una vertiginosa crescita negli ultimi cinque anni. Il mercato mondiale attuale prevede che nel 2019 il fatturato arrivi a oltre 49 miliardi per poi superare i 60 nel 2023. In ordine, l’Europa guida le classifiche, seguita da Asia e Stati Uniti. Si pensi che solo dai giochi online lo scorso anno l’Europa ha generato il 52% dei ricavi globali.

I giochi che generano maggior interesse a livello mondiale vedono le scommesse sportive che guidano la classifica con oltre il 50% di popolarità. Successivamente ci sono i casinò online che sfiorano i 30% ed in seguito lotterie e bingo.

Il business delle scommesse in Italia

Gli italiani scommettono, in particolare nel calcio e nei casino games. L’Osservatorio del Gioco Online di Milano ha pubblicato alcuni dati dove si prevede solo nel biennio 2017-19 una crescita del business delle scommesse di oltre il 30%. I ritmi di crescita più elevati sono delle scommesse sportive, che individualmente forniscono circa il 35% del ricavato totale. Inoltre, una grossa crescita è stata identificata anche in giochi quali Win for Life ed il Lotto, con una crescita prevista che va oltre il 50% rispetto al 2016. Nello stesso settore, anche il Superenalotto ha incrementato gli incassi con un totale di puntata pari a 392 milioni di euro nel 2018, con una crescita del 15% rispetto al 2017.

Probabilmente però oltre alla popolarità dei singoli elementi, è importante anche l’influenza delle nuove possibilità offerte da internet. Casinò e bingo online, ma anche i bookmakers, negli ultimi tempi hanno registrato una notevole diffusione tra gli utenti. I settori di traino per quanto riguarda il gioco online sono rappresentati oggi dal classico poker, ma all’apice troviamo le slot che provvedono ad accrescere il totale di circa 65%.

Per quanto invece riguarda lo sport, oltre al calcio abbiamo anche l’ippica, un classico indiscusso che fattura oltre 18 milioni di euro all’anno.

La tendenza analizzata dagli esperti mostra comunque segni di forte crescita. Già partendo dal biennio 2016-17 possiamo osservare come l’impennata sia stata vertiginosa e non paia arrestarsi. Nel 2016 la spesa degli scommettitori in ambito sportivo è stata di 925 milioni di euro, per poi aumentare di circa il 45% nel 2017 arrivando a 1,3 miliardi di euro. Nel 2018 siamo passati ad una stima che supera i 3 miliardi di euro,mentre per il 2019 ne sapremo di più tra qualche mese

Scommesse e calcio

Il calcio è senza dubbio uno degli sport più popolari e quando si parla di esso è impossibile scinderlo dal settore delle scommesse sportive. Sono milioni i tifosi che oltre al guardare i match preferiti effettuano una o più puntate su una gara. Le scommesse rappresentano dunque una vera e propria passione, al pari di quella del calcio stesso. Non sono poche le persone che quotidianamente si affacciano anche per la prima volta su questo mondo, dunque è importante anche considerare la lettura di guide per il betting nell’ambito delle scommesse calcistiche e sportive in generale in quanto non è così semplice quanto sembra.

Conoscere lo sfondo dell’evento: il fattore rischio

Per ogni evento sportivo è disponibile oggi una gamma pressoché infinita di possibilità, dunque prima di effettuare una qualsiasi scommessa in quanto essa prevede un rischio, è importante conoscere più dettagli possibili. Alcuni fattori da tenere in considerazione nel calcio ad esempio, oltre alla forza individuale della squadra, è ad esempio la condizione dei giocatori, gli infortuni, il tipo di campo da calcio su cui si giocherà ma anche la tifoseria stessa. Bisogna dunque studiare il match al meglio e senza fretta in quanto sono diverse le cose da conoscere prima di effettuare la puntata. Questi consigli specifici per il calcio vanno comunque presi in considerazione per qualsiasi tipo di sport o gioco si effettui una scommessa.

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Gli effetti della fatturazione elettronica sui rifornimenti di carburante

di SKA su Notizie Commentate il 3 Aprile 2019, 10:57

Dal 1° gennaio 2019 è entrato in vigore l’obbligo di emissione di fattura elettronica. Questa novità sta avendo un grande impatto su tutti coloro che si vedono costretti a usufruirne, in tutti i settori della gestione aziendale. Per esempio, sono stati introdotti cambiamenti per quanto riguarda rifornimenti di carburante e IVA.

Tutti o titolari di partita IVA che beneficiano di agevolazioni sui costi auto, in particolare chi faceva uso dell’ormai sparita scheda carburante cartacea, dovranno obbligatoriamente richiedere l’emissione di fattura elettronica per il pagamento di carburante alle pompe di benzina. In pratica, se vogliono scaricare l’IVA o detrarre le spese per l’acquisto di benzina e gasolio dovranno documentare gli avvenuti rifornimenti all’Agenzia delle Entrate tramite fatturazione elettronica (è quindi ormai inutile la compilazione cartacea della scheda carburante, che non è più in corso di validità).
Questo documento in formato digitale XML è a tutti gli effetti un documento fiscale recante gli stessi dati che erano richiesti per quello cartaceo. La differenza sostanziale è che viene emesso, inviato e ricevuto tramite il Sistema di Interscambio dell’Agenzia delle Entrate. Dunque sia chi emette sia chi riceve fattura non avrà nulla “in mano” al momento dell’acquisto/vendita, ma agirà per via telematica.

Ricordiamo comunque che i privati cittadini non verranno interessati affatto dal cambiamento, che riguarda esclusivamente liberi professionisti e imprese.

Questi ultimi dovranno adeguarsi alla novità per non incorrere in sanzioni e per continuare a ricevere agevolazioni e detrazioni fiscali, soprattutto per quanto riguarda i rifornimenti carburante delle trasferte di agenti e dipendenti. In ambito di utilizzo vettura aziendale è quindi diventato indispensabile dotarsi di una carta di pagamento aziendale, così da poter continuare a dedurre questi costi.

Cosa cambia per imprese e liberi professionisti

L’introduzione obbligatoria della fattura elettronica per ogni singolo acquisto di carburanti con vettura aziendale ha un grande vantaggio: ogni movimento di denaro avverrà solo attraverso mezzi tracciabili. Ovvero, per mezzo di tutti gli strumenti di pagamento ad esclusione del denaro contante (carte di credito, bancomat, assegni, buoni e simili). In questo modo si tenterà di combattere l’evasione fiscale e di snellire le operazioni contabili delle aziende, che si vedranno anche aiutate nella gestione contabile, avendo sempre a disposizione un resoconto aggiornato di spese e ricavi.
Uno degli strumenti di pagamento più utili alle imprese sono le carte carburante aziendali, che spesso sono emesse a condizioni vantaggiose per il cliente.

Occorre però specificare una cosa per quanto riguarda i rifornimenti fatti tramite carta o buoni carburante: il pagamento avviene in un momento diverso rispetto al rifornimento vero e proprio. La fattura elettronica viene quindi emessa nel momento in cui la carta viene ricaricata o si compra il buono. La questione cambia se invece si effettua un rifornimento presso impianti gestiti da più compagnie e da singoli imprenditori (le cosiddette pompe bianche). In questo caso non sarà necessario emettere una fattura elettronica, perché la cessione non è soggetta a IVA e basterà un semplice documento di legittimazione per richiedere la detrazione.

Adattarsi è essenziale

Viviamo in un paese ancora molto lento ad adattarsi a novità gestionali e normative sempre più a favore della tecnologia e sempre meno della carta. A molti questi nuovi mezzi sembreranno più scomodi e macchinosi, ma in realtà una volta preso il via permetteranno di risparmiare notevoli quantità di tempo e di denaro. Avere costantemente sotto controllo entrate e uscite permette di avere processi e controlli contabili più veloci e precisi, e meno spese di gestione e spazio di archiviazione. Ciò che si augura l’Agenzia delle Entrate è di infliggere un duro colpo agli evasori, con la speranza di colmare in qualche misura la voragine del debito pubblico. Se questa manovra riuscirà completamente non è ancora dato saperlo, ma intanto è un innegabile passo avanti verso l’adattamento a una nuova economia sostenibile e al passo con i tempi.

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Copyright, ecco cosa ha votato il Parlamento Ue e perché non è una «censura» – Il Sole 24 ORE

di SKA su Cose dette da altri, Notizie Commentate il 27 Marzo 2019, 12:26

La proposta di riforma del copyright che l’Europarlamento ha approvato mercoledì 12 settembre – dopo averne discusso per due anni – tutela i contenuti sul web. Quelli giornalistici soprattutto ma anche di tutti coloro che producono a vario titolo contenuti e vengono intercettati e rilanciati dalle grandi piattaforme web, Google, Youtube, Facebook per fare i nomi più importanti. Il testo votato oggi alla plenaria di Strasburgo apporta alcune modifiche importanti alla proposta della commissione affari giuridici di luglio (quando invece il testo, più duro, è stato respinto).

La proposta approvata oggi non è comunque il testo finale perché questo verrà definito solo al termine dei negoziati tra Parlamento, Consiglio e Commissione Ue che cominceranno nelle prossime settimane.

1. Le grandi compagnie web dovrebbero condividere i loro ricavi con artisti e giornalisti. I creativi, in particolare musicisti, artisti, interpreti e sceneggiatori, nonché editori e giornalisti, devono essere remunerati per il loro lavoro quando questo è utilizzato da piattaforme di condivisione come YouTube o Facebook e aggregatori di notizie come Google News.

I giganti web sono responsabili
La posizione del Parlamento rafforza la proposta della Commissione europea in materia di responsabilità delle piattaforme e degli aggregatori riguardo alle violazioni del diritto d’autore. Questo vale anche per i cosiddetti snippet, dove viene visualizzata solo una piccola parte del testo di un editore di notizie. In pratica, questa responsabilità imporrebbe ai giganti web di remunerare chi detiene i diritti sul materiale, protetto da copyright, che mettono a disposizione.

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Internet è ufficialmente morto in Europa – Motherboard

di SKA su Cose dette da altri, Notizie Commentate il 26 Marzo 2019, 17:38

Il Parlamento Europeo ha appena approvato la direttiva europea sul copyright. Con 348 voti a favore e 274 contrari, gli articoli 11 e 13 sono diventati realtà. Non vi è stata nemmeno la possibilità di votare per gli emendamenti che avrebbero proposto la rimozione dei singoli articoli — possibilità persa per soli 5 voti contrari.

Gli sforzi dei cittadini, degli attivisti, e degli esperti di internet — culminati con la pubblicazione domenica scorsa di una lettera contraria agli articoli 11 e 13, firmata dagli accademici di tutta Europa che si occupano di diritto informatico e proprietà intellettuale — non sono bastati a convincere la maggioranza degli europarlamentari a votare contro una direttiva che introduce una macchina della censura preventiva, che dovrà filtrare ogni contenuto caricato online.

Come sottolineato dalla parlamentare Julia Reda nel suo ultimo appello questa mattina, abbiamo assistito probabilmente a una delle più grandi mobilitazioni cittadine degli ultimi anni su un tema digitale. Dall’altra parte, però, alcuni europarlamentari si sono ostinati a svilire ogni critica liquidandola come fake news, bollando i cittadini come bot, o persino alludendo alla possibilità che i critici fossero stati assoldati dai colossi digitali. Tacendo completamente, però, le pressioni portate avanti dalle lobby editoriali e del mondo della musica.

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Sicurezza sul lavoro: un tema di cui dobbiamo parlare di più

di SKA su Notizie Commentate il 22 Marzo 2019, 09:01

Nell’ultimo report pubblicato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, insieme ad ISTAT, INPS, INAIL e ANPAL intitolato “Il mercato del lavoro 2018: verso una lettura integrata” c’è un intero capitolo dedicato a alla sicurezza sul lavoro, un tema che deve tenere sempre alta l’attenzione di istituzioni ed aziende.

La gestione della salute e sicurezza sul lavoro riguardano d’altronde tutta la serie di normative e misure protettive e preventive che aziende e datori di lavoro devono adottare per gestire al meglio la salute, la sicurezza ed il benessere dei lavoratori tutti.

Misure queste necessarie ad evitare e ridurre al minimo possibile il rischio infortuni e malattie professionali per il lavoratore. Attività queste che vanno avanti in parallelo tra leggi generali e specifiche al quale attenersi ed una serie di attività di ispezione per verificare eventuali inadempienze.

Cosa si intende per sicurezza sul lavoro

L’Organizzazione mondiale della Sanità la definisce così “la salute sul lavoro riguarda tutti gli aspetti di salute e sicurezza sul luogo di lavoro e ha una elevata attenzione alla prevenzione primaria dei pericoli”.

Non si intende solamente uno stato di assenza dalle malattie, infortuni o infermità del lavoratore, ma più ad uno stato completo di benessere sociale, mentale e chiaramente fisico. Il lavoratore deve essere protetto per ridurre al minimo l’esposizione a rischi legati all’attività lavorativa, ma deve stare bene sia fisicamente che mentalmente.

La sicurezza sul lavoro è di solito a carico del datore di lavoro, ma anche di dipendenti e collaboratori che devono adottare un comportamento adeguato alla struttura in cui lavorano, di solito definita a monte.

Infatti sul luogo di lavoro è necessario dotarsi di una serie di strumenti ed accorgimenti, oltre ad un’attività preventiva adeguata che viene stilata dall’azienda attraverso un Documento Valutazione Rischi.

Alcuni dati

Qualche dato estrapolato dal report del ministero, relativi al 2017 e per estensione agli ultimi 10 anni. Gli infortuni sul lavoro nell’anno 2017 denunciati all’Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro (Inail) ammontano a 561 mila, una media di 1.536 ogni giorno.

Sono stati riconosciuti più di 379 mila infortuni sul lavoro. Rispetto al dato del 2008 c’è stata una diminuzione delle del 35,7%, con 300 mila casi di infortunio in meno. Si stima quindi che dall’inizio del secolo – in cui le denunce per infortunio superavano il milione – si siano dimezzate.

Così come le morti sul lavoro, con una riduzione del 29,7% (da 1614 del 2007 alle 1.135 del 2017). Sono ancora troppe, ma aziende ed istituzioni stanno lavorando per migliorare la tendenza.

Le principali normative in materia di sicurezza sul lavoro

La sicurezza sul lavoro è regolamentata dal Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, D.Lgs n. 81/2008 e dalle successive disposizioni correttive che si possono trovare nel D. Lgs. 106/2009.

Il Testo Unico ha alcuni precedenti normativi che risalgono al quasi immediato dopo guerra – 1995/56 – ma in particolare la 626 del 1994. Le normative del T.U. recepiscono alcune direttive europee emanate nel 2007 relative a salute e sicurezza dei lavoratori, in cui sono previste dure e specifiche sanzioni nei confronti degli inadempienti.

Il Testo Unico ha voluto introdurre “un sistema di prevenzione e sicurezza a livello aziendale basato sulla partecipazione attiva di una serie di soggetti interessati alla realizzazione di un ambiente di lavoro idoneo a garantire la salute e la protezione dei lavoratori”

Il complesso di norme che regola la sicurezza sul lavoro è molto ampio, ma può essere riassunto brevemente così: il datore di lavoro deve provvedere a definire delle misure di tutela attraverso una costante analisi dei rischi e collaborare strettamente con il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione e con il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, laddove presenti, per mettere in atto tutte le azioni necessarie a tutela dei lavoratori.

Consulenza sulla sicurezza sul lavoro

Messa così sembra semplice, ma le aziende molto spesso non sono preparate od organizzate per una corretta gestione della salute e della sicurezza sul lavoro. A volte non sanno neanche da dove iniziare.

Qui entra in gioco il consulente per la sicurezza sul lavoro, che viene chiamato in azienda per gestire sia gli aspetti burocratici, di valutazione dei rischi, ma molto spesso anche in ambito formativo.

Il lavoro consulenziale passa dalla redazione di tutta la documentazione necessaria richiesta dalla normativa – il famoso T.U. 81/08; all’analisi dello stato attuale e l’individuazione delle migliori procedure per la sicurezza aziendale e la diffusione di una cultura preventiva, spesso assente.

Il consulente può anche assumere il ruolo di Responsabile Servizio di Prevenzione e Protezione, che molte aziende non hanno al proprio interno.

L’azienda verrà anche formata e preparata all’ispezione da parte degli organi di controllo, che verificheranno nel dettaglio ogni eventuale inadempienza, quindi in questo caso il consulente diventa strategico.

Come già detto il consulente della sicurezza si occuperà anche della formazione del personale, rilasciando attestati di frequenza validi ai fini normativi, oltre a migliorare la consapevolezza sulla tematica.

Fonte delle informazioni e degli approfondimenti: https://www.studiohs.it/

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Mafie al Nord: non si tratta più di infiltrazioni ma di sistema strutturato e radicato – Valigia Blu

di SKA su Antimafia, Cose dette da altri il 20 Marzo 2019, 10:55

Camorra e ‘ndrangheta venete. Se prima si parlava di “infiltrazioni” al Nord della criminalità organizzata, nell’ultimo mese diverse inchieste della Direzione distrettuale antimafia ne hanno mostrato una vera e propria “presenza” radicata in Veneto.

Una questione che è stata sottovalutata. Solo pochi mesi fa un sondaggio pubblicato da Libera – l’associazione presieduta da Don Luigi Ciotti che lotta contro le mafie – mostrava che al Nord Est per 4 cittadini su 10 “la mafia è invisibile e la si ritiene un fenomeno marginale”. Lo scorso 12 marzo, però, Bruno Cherchi, capo della procura di Venezia e coordinatore della Dda, ha dichiarato che «c’è stata una scarsa comprensione» di questo  fenomeno, non limitata al territorio veneto, ma un po’ in tutto il Nord Italia. Una tendenza a minimizzare che «ha portato ad intervenire con ritardo e forse non ancora con misure adeguate».

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Abbandono universitario: un problema da affrontare il prima possibile

di Camerata Stizza su Notizie Commentate il 1 Marzo 2019, 13:20

“L’abbandono scolastico rappresenta un ostacolo per la crescita economica e l’occupazione. Frena la produttività e la competitività e alimenta povertà ed esclusione sociale.” Così inizia il report Eurostat sull’abbandono scolastico nei paesi europei  o, in maniera più specifica, sui giovani che abbandonano prematuramente l’istruzione e la formazione. Il report che indicava gli “Early school leavers” ora si intitola infatti “Earlyleavers from education and training” a rimarcare ancora di più che il focus, è rivolto soprattutto alla fascia demografica che va dai 18 ai 24: quindi università e formazione post-universitaria.

Nel rapporto Eurostat si specifica nell’anno di riferimento – 2017, ma ancora in corso – il 10,6% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha completato gli studi superiori, ma non ha proseguito nella formazione universitaria o in altro tipo di formazione: Il 12,1% uomini, 8,9% donne. L’Europa si pone come obbiettivo per il 2020 di ridurre a meno del 10% la percentuale di giovani di età compresa fra i 18 e i 24 anni che abbandonano prematuramente l’istruzione o la formazione. L’Italia detiene purtroppo uno dei primati in quella classifica, posizionandosi sul podio con circa mezzo milione di giovani italiani (523,900) che per motivi vari hanno deciso di abbandonare l’università e la formazione. Si parla del 20% degli iscritti che abbandonano solo dopo il primo anno, a salire negli anni successivi: 39,3% nei primi due anni e 45,2% a tre anni. Il dato degli iscritti dopo 10 anni di carriera universitaria è del 12,7%: ragazzi che per vari motivi hanno difficoltà nello studio. Ma ci torniamo dopo.

Tra le ragioni dell’abbandono individuate dalla Commissione europea emerge il desiderio di lavorare, figlio di una congiuntura economica sicuramente non favorevole, che spinge molti giovani ad abbandonare del tutto gli studi per iniziare quanto prima il cammino verso l’indipendenza economica. Purtroppo non sussistono più neanche le condizioni per i famosi “lavoretti” ad accompagnare lo studio universitario, perché sempre meno pagati e sempre più impegnativi in termini di tempo: dopo 8/10 ore di lavoro pochi riescono a rimettersi sopra i libri.

La seconda motivazione alla base degli abbandoni è legata alla delusione, della serie: “lo studio non ha soddisfatto bisogni e/o interessi”. Questo punto dovrebbe forse preoccupare ancora di più perché ci pone di fronte ad un quesito fondamentale,  “l’università è ancora in grado di fornire gli strumenti necessari per affrontare la vita lavorativa?”. Alla fin fine si parla di quello: i tempi in cui si studiava per diletto sono lontani ed erano un lusso per pochi. La stragrande maggioranza di chi affronta oggi un percorso universitario in maniera consapevole, si aspetta uno sbocco professionale

Non è però da trascurare anche il fattore economico, altra motivazione rilevante indicata dal rapporto: anche i più volenterosi non riescono a sopperire alle spese da affrontare per tasse universitarie, affitti, spese quotidiane. E si ritorna all’inizio: abbandono e ricerca di un lavoro.

Nei confronti di tutte queste motivazioni però si può agire con anticipo, consentendo agli studenti di affrontare il percorso universitario in maniera più semplice, o magari superare con successo i famosi “esami scoglio”, capaci di bloccare anche un percorso ben avviato

Nei casi di difficoltà nella preparazione, senso di inadeguatezza o magari semplice supporto per coloro che superati i 30 vogliono riprendere in mano gli studi interrotti per migliorare la propria posizione, è di sicuro aiuto la figura di un tutor o di un servizio di preparazione universitaria specializzato.
Ce ne sono molti, ma indubbiamente quello offerto da Cepu risulta essere il più completo ed efficace, perché può contare su oltre 30 anni d’esperienza nel campo dell’assistenza allo studio, durante i quali ha affiancato e portato con successo alla laurea migliaia di studenti.

Tre sono i punti di forza di Cepu, il  referente didattico, professionista preparato, che progetta il percorso di studio sulla base delle caratteristiche dello studente; il tutor personale, esperto dell’apprendimento oltre che della materia di sua competenza, che affianca lo studente nel percorso di formazione e adotta le strategie più idonee per facilitarne lo studio; il metodo di studio messo a punto in tanti anni d’esperienza che consente di impostare una strategia di preparazione mirata ed efficace.

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Perché la fobia sociale è il male del nostro tempo – The Vision

di SKA su Cose dette da altri, Notizie Commentate il 27 Febbraio 2019, 11:48

La malattia mentale e i disturbi della personalità sono diventati in meno di un secolo la vera emergenza sanitaria del pianeta, soprattutto nei Paesi industrializzati. Secondo un report dell’Organizzazione mondiale della sanità, entro il 2030 la depressione sarà la malattia più diffusa a livello globale, davanti a cancro e patologie cardiocircolatorie. In Italia, terra diffidente e scettica, l’accettazione della malattia mentale risulta il più duro degli ostacoli, e spesso si tende a sottovalutare i campanelli d’allarme senza consultare uno specialista. Così i genitori possono scambiare la depressione del figlio adolescente per una banale malinconia tipica di un’”età difficile”, o un bipolare può pensare di essere semplicemente “un po’ lunatico” e in preda a sbalzi d’umore. In tanti pensano di essere solo molto timidi, e ignorano di essere vittima di un disturbo noto in psichiatria come fobia sociale. 

I tanti che si affidano all’autodiagnosi per via della paura di farsi visitare da un professionista contribuiscono a generare difficoltà nella raccolta di dati certi sul numero di persone alle prese con la fobia sociale. Secondo gli studi più attendibili, in Italia la percentuale di persone che ne soffre varia tra il 3% e il 13%, una forbice dovuta al sottobosco di patologie non rilevate, casi non analizzati e persone che ignorano il disturbo. Un sociofobico si sente a disagio nel relazionarsi con gli altri, nel parlare faccia a faccia, nel mangiare se osservato, nel fare qualcosa davanti a un pubblico che potrebbe giudicarlo. La patologia e i suoi sintomi sono influenzati dal giudizio che si ha di se stessi, in grado di provocare ansia, attacchi di panico, disturbi ossessivo-compulsivi e depressione.

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Il nuovo petrolio si chiama coltan e il Venezuela ne è casualmente pieno – The Vision

di SKA su Cose dette da altri, Notizie Commentate il 20 Febbraio 2019, 17:26

Da mesi ci viene descritto un Paese sull’orlo del collasso, eppure le ricchezze della Repubblica bolivariana del Venezuela sono invidiabili: il Paese sudamericano conserva nel suo sottosuolo cospicue quantità di oro (le riserve stimate sono intorno alle 15 tonnellate), possiede le più grandi scorte petrolifere del pianeta e negli ultimi anni ha scoperto di avere giacimenti ricchissimi di coltan, un minerale destinato a diventare il petrolio del futuro. 

Il coltan è una combinazione di columbite, manganesio e tantalite, e contiene un’alta percentuale di tantalio, un superconduttore che sopporta elevate temperature, resiste alla corrosione e possiede una grande capacità di immagazzinare cariche elettriche. Il coltan è il materiale fondamentale per la fabbricazione di condensatori, microchip, console per videogiochi, sistemi di posizionamento globale, satelliti, missili telediretti, apparati di microelettronica e nella chirurgia estetica viene utilizzato per gli impianti mammari. Per il suo utilizzo sempre più massiccio in diversi settori strategici, gli esperti prevedono un’impennata nella richiesta globale che potrebbe triplicare entro il 2025.

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Serie A bianconera: top ten degli stipendi dominata dalla Juventus

di SKA su Notizie Commentate il 8 Febbraio 2019, 18:43

Settimane di fuoco per l’Inter, Icardi che non segna su azione da fine ottobre, Spalletti appeso a un filo e l’arrivo di Marotta che sembra il preludio al prossimo arrivo di Conte. Tutto questo cosa c’entra con la classifica dei dieci giocatori più pagati della Serie A? Ebbene sì, ha un forte legame, probabilmente tra i motivi alla base dello scarso rendimento di quest’anno dell’attaccante e capitano nerazzurro.

Perché incredibile a dirsi, ma il n.9 dell’Inter non figura fra i giocatori più stipendiati del nostro campionato, non c’è anzi traccia di alcun interista fra i primi dieci nella speciale graduatoria stilata da bwin. Strano, visto che senza ombra di dubbio si deve riconoscere a Mauro Icardi di essere il giocatore più determinante della Serie A in questi anni, secondo da questa stagione solo per l’arrivo di Cristiano Ronaldo. Ecco dunque che le richieste continue di rinnovo e adeguamento dell’argentino risultano legittime, a vedere come nella top ten figurino giocatori del tutto inaspettati rispetto all’assenza del marito di Wanda Nara.

Una classifica assolutamente dominata dalla Juve, che la occupa per oltre la metà degli elementi che la compongono. In testa ovviamente c’è Cristiano Ronaldo, il quale percepisce la bellezza di trenta milioni di euro netti a stagione, utili a convincerlo nel lasciare l’isola felice di Madrid per approdare nel decadente calcio italiano. Dietro di lui una marea di bianconeri, da Dybala a Pjanic, Douglas Costa e perfino Emre Can. Quest’ultmo, giunto a parametro zero dal Liverpool, guadagna 5.5 all’anno e dunque un milione oltre più di Icardi: incredibile a dirsi.

Chiude il dominio bianconero il ritorno di Bonucci che percepisce meno della sua prima era bianconera, ma ciò nonostante ha lasciato l’infelicità milanista per fare ritorno a Torino, in cambio di Higuain che ha compiuto il percorso inverso. Fino a due settimane fa, in realtà, il Pipita è già volato via dalla cupa Milanello e ha lasciato il secondo gradino del podio che occupava coi suoi quasi 9 milioni di euro all’anno.

Completano la classifica Donnarumma e il discusso rinnovo di due estati fa, quella del mancato esame di maturità, ottenuto con Raiola per la bellezza di 6 milioni annui con tanto di ingaggi da 1 milione del fratello e terzo portiere Antonio. Si conclude con Dzeko e Insigne, che superano di poco i 4.5 milioni a stagione.

Le squadre di media e bassa classifica della Serie A presentano invece un tetto ingaggi decisamente inferiore, se raffrontato con quelle che sono le cifre degli altri campionati, soprattutto della Premier League. Rare le eccezioni, come quelle che vedono Mattia Destro a Bologna percepire 2.5 milioni annui pur essendo ormai lontano parente del giocatore che si vide arrivare al citofono Galliani per essere convinto circa un trasferimento nella Milano rossonera: per il resto, si vive di prestiti, giocatori stranieri poco conosciuti o giovani da rivendere anche sei mesi dopo un buono scorcio di campionato prima di essere obbligati a grossi stipendi annuali.

Per informazioni chiedere a Preziosi e all’ex Piatek.

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Chi ha tradito la meritocrazia – Il Trend illiberale

di SKA su Cose dette da altri, Notizie Commentate il 25 Gennaio 2019, 15:34

Nella meritocrazia sarebbe il talento a determinare la posizione sociale. Ma le cose non vanno proprio così, nel tempo. L’applicazione del principio meritocratico alla società garantisce, infatti, in un mondo in cui gli individui nascono ineguali, che ciascuno possa acquisire nella vita una posizione proporzionale alle proprie capacità, indipendentemente dalle origini sociali.

Fu Michael Young, sociologo e attivista politico inglese, autore del manifesto che nel 1945 portò al successo elettorale il partito laburista, ad inventare questo termine nel suo libro The Rise of Meritocracy (L’avvento della meritocrazia): un saggio satirico (o distopia), pubblicato nel 1958, in cui Young immagina e analizza l’affermarsi in Gran Bretagna nel 2033 di una società meritocratica, in cui non soltanto ognuno ha ciò che si merita, ma dove la meritocrazia diventa una vera e propria forma di governo: “non una aristocrazia di sangue, non una plutocrazia della ricchezza, ma una vera meritocrazia dell’ingegno”.

Il racconto di Young si svolge nel corso di un secolo e mezzo, durante il quale l’uguaglianza delle opportunità di partenza (un punto su cui Young per tutta la vita si spese con il suo impegno politico e intellettuale) viene garantita in Gran Bretagna grazie all’introduzione di alcune riforme, in particolare nell’ambito dell’istruzione.

Nella società meritocratica di Young, l’accesso all’educazione superiore di qualità avviene sulla base di selezioni mirate, che misurano il quoziente intellettivo, e gli insegnanti scelgono quei giovani da avviare alla carriera di dirigente. La selezione scientifica si applica anche al settore dell’industria, dove la promozione per merito sostituisce la promozione per anzianità.

Così si formano le migliori élite di funzionari pubblici, medici, fisici, psicologi, chimici, dirigenti aziendali e critici musicali. E, in questa comunità immaginaria, è vero che la divisione fra classi appare più netta, ma dal momento che la stratificazione sociale poggia sul principio del merito accettato a tutti i livelli della società, le classi inferiori non hanno una propria ideologia in conflitto con l’ethos della società e non negano il diritto delle classi superiori alla loro posizione.

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E ora le élite si mettano in gioco – The Catcher

di SKA su Cose dette da altri, Notizie Commentate il 18 Gennaio 2019, 12:19

Condivido il punto di vista espresso da Baricco sulle élites ed il loro fallimento, espresso sia in questo articolo che in maniera molto più estesa sul libro The Game.


Dunque, riassumendo: è andato in pezzi un certo patto tra le élites e la gente, e adesso la gente ha deciso di fare da sola. Non è proprio un’insurrezione, non ancora. È una sequenza implacabile di impuntature, di mosse improvvise, di apparenti deviazioni dal buon senso, se non dalla razionalità. Ossessivamente, la gente continua a mandare — votando o scendendo in strada — un messaggio molto chiaro: vuole che si scriva nella Storia che le élites hanno fallito e se ne devono andare.
Come diavolo è potuto succedere?

Capiamoci su chi sono queste famose élites. Il medico, l’insegnante universitario, l’imprenditore, i dirigenti dell’azienda in cui lavoriamo, il Sindaco della vostra città, gli avvocati, i broker, molti giornalisti, molti artisti di successo, molti preti, molti politici, quelli che stanno nei consigli d’amministrazione, una buona parte di quelli che allo stadio vanno in tribuna, tutti quelli che hanno in casa più di 500 libri: potrei andare avanti per pagine, ma ci siamo capiti. I confini della categoria possono essere labili, ma insomma, le élites sono loro, son quegli umani lì.
Sono pochi (negli Stati Uniti sono uno su dieci), possiedono una bella fetta del denaro che c’è (negli Stati Uniti hanno otto dollari su dieci, e non sto scherzando), occupano gran parte dei posti di potere. Riassumendo: una minoranza ricca e molto potente.
Osservati da vicino, si rivelano essere, per lo più, umani che studiano molto, impegnati socialmente, educati, puliti, ragionevoli, colti. I soldi che spendono li hanno in parte ereditati, ma in parte li guadagnano ogni giorno, facendosi un mazzo così. Amano il loro Paese, credono nella meritocrazia, nella cultura e in un certo rispetto delle regole. Possono essere di sinistra come di destra.

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M5S e Lega non stanno combattendo la povertà, ma i poveri – The Vision

di SKA su Cose dette da altri, Notizie Commentate il 9 Gennaio 2019, 13:56

Da qualche mese a questa parte, cioè dall’ascesa del nuovo governo al potere, c’è nell’aria una volontà implicita di stigmatizzare gli atti di umanità. Nell’era giallo-verde il bene viene seguito da un asterisco, è ondivago e può persino rappresentare un ostacolo politico. Chi pensa che sia un’esagerazione o un pensiero strumentalizzato forse non ha ancora letto la manovra appena approvata.

Dalla Croce Rossa alla piccola onlus di provincia, dalla Comunità di Sant’Egidio (che a Natale ha dato 60mila pasti ai poveri) agli istituti d’istruzione senza scopo di lucro, hanno tutti trattenuto il fiato quando nella Manovra è comparsa una voce inaspettata, una norma che cancella per questi enti l’Ires agevolata, che dal 12% passa al 24% e destabilizza l’intero Terzo settore. Si è subito parlato di tassa sul volontariato o di patrimoniale sulla solidarietà, termini che non si discostano troppo dalla realtà: cancellare l’articolo 6 del d.p.r. 601 risalente al 1973 (ovvero le agevolazioni sull’Ires) consiste nella perdita per il Terzo settore di 118 milioni nel 2019, e di 157 nei due anni successivi. Questi soldi verrebbero usati per comprare ambulanze, per assistere i disabili o per dare un pasto a chi non può permetterselo. In pratica il governo ha deciso di diventare la nemesi di Robin Hood, rubando ai poveri per alimentare le utopie di altri poveri (reddito di cittadinanza). Utopie, appunto.

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WTF?

Giornalista, web designer e pubblicitario. Da blog di protesta negli anni in cui i blog andavano di moda, questo spazio è diventato col tempo uno spazio di riflessione e condivisione. Per continuare a porsi le giuste domande ed informare se stessi.