Tik Tok e i problemi con la privacy

di SKA su Notizie Commentate il 24 Febbraio 2023, 12:50

Un dato di fatto: l’app e il social media di maggior successo al mondo, attualmente, è cinese. TikTok è un’applicazione che ha conquistato milioni di utenti in tutto il mondo, grazie ai suoi video divertenti, creativi e coinvolgenti. Tant’è che si parla più di un’app orientata all’intrattenimento, più che di social media. Ma il successo di TikTok è stato accompagnato da molte controversie e preoccupazioni sulla privacy e la sicurezza dei dati degli utenti.

Una delle principali preoccupazioni è che TikTok in quanto azienda privata cinese potrebbe essere soggetta al controllo del governo – e quindi del partito – cinese. Non è un segreto che la Cina abbia investito molte risorse per tenere fuori dai propri confini ed estromettere dal mercato le altre applicazioni concorrenti per consentire la crescita dei propri. Così come non è un segreto che il governo cinese abbia una forte influenza, per usare un eufemismo, nei confronti delle società private: tante altre aziende subiscono le ingerenze del partito o sono sotto controllo diretto. La storia di AliBaba e Jack Ma e la sua estromissione dall’azienda hanno fatto scattare più di qualche campanello d’allarme nella parte del mondo in cui domina il libero mercato.

Questo ha portato a preoccupazioni riguardanti la raccolta di dati degli utenti e il loro utilizzo da parte del governo cinese. Alcuni governi, come gli Stati Uniti e l’India, hanno addirittura vietato l’applicazione a causa di preoccupazioni sulla sicurezza nazionale. La notizia di queste ore è che anche la Commissione Europea e il Consiglio Europeo hanno vietato a tutti i dipendenti di tenere installata l’app di Tik Tok sul telefono: l’app dovrà essere disinstallata sia dai dispositivi aziendali che quelli personali. Il timore è che con quell’applicazione possano recuperare informazioni sensibili sui dipendenti.

Le aziende private cinesi, come TikTok, sono obbligate per legge a rispettare le richieste del governo cinese in materia di sicurezza nazionale e di informazioni sulle attività degli utenti. Ciò significa che se il governo cinese richiedesse informazioni sugli utenti di TikTok, l’azienda sarebbe obbligata a fornirle. È già successo: ByteDance, l’azienda che controlla l’app, ha ammesso di aver usato i dati per far localizzare giornalisti che avevano scritto articoli sgraditi alla piattaforma.

Se andiamo a leggere le policy sulla privacy di Tik Tok scopriamo che l’applicazione utilizza in modo molto spregiudicato i dati di chi lo utilizza.

“Il nostro sistema raccoglie automaticamente informazioni sull’utilizzo che fai dell’applicazione TikTok, tra cui il tuo indirizzo IP, le informazioni sul dispositivo (compreso il modello del dispositivo, il sistema operativo e la versione dell’applicazione), l’attività dell’applicazione, le informazioni sull’operatore mobile, il tempo trascorso nell’applicazione e l’utilizzo delle funzioni dell’applicazione.”

La privacy policy di TikTok indica inoltre che l’applicazione può raccogliere informazioni sulle tue interazioni con altri utenti, come i commenti, i messaggi diretti e i contenuti generati dall’utente.

Problema: in base a queste premesse la preoccupazione è che il governo cinese potrebbe utilizzare tutte quelle informazioni, a partire dalla localizzazione geografica, come strumento di spionaggio e sorveglianza. Pur avendo fornito delle blande rassicurazioni di fatto non risponde a nessuna legge o criterio della privacy delle persone.

Anche le altre applicazioni che utilizziamo – non solo social media – utilizzano i nostri dati, ma sono più funzionali a scopi di marketing e di advertising interne. Ma soprattutto, in particolare in Europa e negli Stati Uniti, esistono leggi e organismi, parlamenti che non – e non possono avere – controllo o ingerenze dirette su quelle aziende e su quei dati.

In Europa, le leggi sulla privacy sono forti e mirano a proteggere i dati personali degli utenti. La principale legge sulla privacy in Europa è il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), che è entrato in vigore nel 2018. Il GDPR impone alle aziende che raccolgono e utilizzano i dati personali degli utenti di rispettare una serie di norme rigorose, tra cui il consenso esplicito degli utenti per la raccolta e l’utilizzo dei dati, il diritto degli utenti di accedere ai loro dati personali e di richiederne la cancellazione.

Tuttavia, non tutti sono soddisfatti della protezione dei dati offerta dal GDPR. Alcuni sostengono che non sia abbastanza forte per proteggere completamente i dati personali degli utenti, mentre altri ritengono che le sanzioni per le violazioni della privacy non siano sufficientemente severe.

In ogni caso, è importante che gli utenti di TikTok e di altre applicazioni di social media siano consapevoli dei rischi per la privacy e che esercitino il loro diritto alla privacy e alla protezione dei dati. Il consiglio che viene dato in questi casi è quello di “leggere attentamente i termini di servizio”, ma viviamo nel mondo reale: chi li legge veramente? Fate attenzione a quello che viene condiviso e se non vi sentite a vostro agio nel fornire dati personali, disinstallate l’app. Si sopravvive lo stesso.

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Il marketing nel settore del make-up: come la pubblicità influisce sugli acquisti

di Camerata Stizza su Marketing il 26 Gennaio 2023, 13:57

Il settore del make-up è in continua evoluzione e la pubblicità gioca un ruolo fondamentale nella scelta degli acquisti dei consumatori. La pubblicità è uno strumento potente che permette di influire sui desideri e sulle esigenze dei consumatori, creando una domanda per i prodotti in questione. In questo articolo, esploreremo come la pubblicità influisce sugli acquisti di fondotinta e fondotinta coprente.

Perché la pubblicità è importante nel settore del make-up

La pubblicità è un’importante forma di comunicazione tra l’azienda e il consumatore. Attraverso la pubblicità, le aziende possono presentare i loro prodotti e le loro caratteristiche, mostrando come essi possono rispondere alle esigenze e ai desideri dei consumatori. Inoltre, la pubblicità consente alle aziende di creare un’immagine positiva per i loro prodotti, aumentando la loro reputazione e la loro visibilità sul mercato.

La pubblicità ha un notevole impatto sugli acquisti di prodotti come fondotinta, creme viso, correttori, cipria e tanto altro. Attraverso la pubblicità, le aziende possono presentare i loro prodotti come soluzioni perfette per coprire le imperfezioni della pelle e per ottenere un aspetto naturale e sano. Inoltre, la pubblicità può mostrare come i prodotti possono essere utilizzati per ottenere un determinato look, come ad esempio un trucco da giorno o un trucco da sera.

Social media e pubblicità

Le campagne pubblicitarie sui social media sono una forma efficace di promuovere i prodotti del make-up e raggiungere un pubblico ampio e mirato. I brand utilizzano i social media per creare campagne pubblicitarie che presentano i loro prodotti come soluzioni perfette per le esigenze e i desideri dei consumatori.

Le campagne pubblicitarie sui social media possono essere utilizzate per promuovere nuovi prodotti o per rilanciare prodotti esistenti. Ad esempio, un brand può creare una campagna pubblicitaria per presentare un nuovo fondotinta coprente come una soluzione ideale per coprire le imperfezioni della pelle e ottenere un aspetto naturale e sano. Oppure, un brand può creare una campagna pubblicitaria per rilanciare un fondotinta esistente, mostrando come esso può essere utilizzato per ottenere un determinato look, come ad esempio un trucco da giorno o un trucco da sera.

Le campagne pubblicitarie sui social media possono anche essere utilizzate per raggiungere un determinato target di consumatori. Ad esempio, un brand può creare una campagna pubblicitaria per raggiungere le donne di una certa età o di un certo gruppo etnico, presentando i loro prodotti come la soluzione ideale per le esigenze specifiche di questo target di consumatori.

I brand possono anche utilizzare i social media per creare campagne pubblicitarie interattive, come ad esempio concorsi e sondaggi, per incoraggiare i consumatori a partecipare e aumentare l’engagement con i loro prodotti. Inoltre, i brand possono utilizzare i social media per creare campagne pubblicitarie in tempo reale, come ad esempio durante un evento importante del settore del make-up, come ad esempio una sfilata di moda o un premio di bellezza, per catturare l’attenzione dei consumatori e creare un’immagine positiva per i loro prodotti.

Inoltre, i brand utilizzano spesso le piattaforme di social media per creare contenuti sponsorizzati, come video tutorial e post di blog, per mostrare come utilizzare i loro prodotti e creare un’immagine positiva per essi. Questi contenuti possono essere condivisi sui profili dei brand e sui profili degli influencer e testimonial, per raggiungere un pubblico ancora più ampio.

In generale, le campagne pubblicitarie sui social media sono un’efficace forma di promuovere i prodotti del make-up e raggiungere un pubblico mirato. I brand utilizzano queste campagne per presentare i loro prodotti come soluzioni perfette per le esigenze e i desideri dei consumatori, raggiungere un determinato target di consumatori, creare contenuti interattivi e sponsorizzati, e catturare l’attenzione dei consumatori durante eventi importanti del settore.

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Nel solco tra nozionismo e cultura c’è una cosa più importante: imparare a pensare

di SKA su Cultura il 25 Gennaio 2023, 11:07

“La cultura non è ciò che si sa, ma ciò che si fa.” – Erich Fromm

“La cultura è un’educazione al pensiero, alla comprensione, alla creatività, alla capacità di apprendere e di apprendere ancora.” – Paolo Freire

Mi ricordo di un episodio accaduto quando ero uno studente in erba. Molto entusiasta solamente per le cose che mi interessavano, anche se non lo davo a vedere perché più interessato a dare di me un’immagine da anticonformista scapestrato. Mi ero preparato per una lezione di storia con una lista di nozioni da imparare a memoria. Quando sono arrivato in classe, ho capito che non mi sarebbero servite a nulla ed ho iniziato un percorso di introspezione allo studio che fosse adeguato al mio modo di vedere il mondo (sbagliando, perché la maggior parte dei professori vuole delle nozioni imparate a memoria e basta.)

Questo approccio l’ho riscoperto molto più avanti durante uno dei primi corsi di tecniche del giornalismo che ho frequentato all’università. Il professore, invece di presentarci una lista di date e nomi da memorizzare, ci ha chiesto di guardare dei film e di scrivere un saggio su come i temi trattati nel film si relazionano alla storia. Ho avuto un attimo di destabilizzazione, ma il mio vecchio approccio mi è venuto subito in soccorso. Confrontandomi con gli altri studenti ho notato che loro faticavano a seguire questo approccio: non erano abituati a pensare criticamente e in modo creativo su un argomento, avevano solo la pretesa ed il conforto di imparare a memoria le nozioni.

L’obiettivo dello studio non era solo di avere una quantità di nozioni in testa, ma di saperle utilizzare, mettere in relazione e comprendere i fenomeni storici e culturali. La cultura è la capacità di comprendere il mondo che ci circonda e di agire in esso in modo efficace. Assorbire quei film e quei significati, più che le specifiche nozioni, ci avrebbe aiutato a mettere in relazione e comprendere i fenomeni del mondo. E così ho cominciato a cambiare il mio modo di vedere il sapere e molto più avanti anche di insegnare, cercando di incoraggiare l’apprendimento per esperienza e l’educazione alla creatività e al pensiero laterale.

La differenza tra nozionismo e cultura è spesso sottovalutata nell’ambito scolastico ed universitario.

Il nozionismo è l’enfasi sull’apprendimento di nozioni specifiche e sulla loro memorizzazione a breve termine, mentre la cultura è l’acquisizione di conoscenze più ampie e durature che ci permettono di comprendere il mondo che ci circonda e di agire in esso in modo efficace.

Il problema del nozionismo è che spesso porta a un apprendimento superficiale e privo di contesto, che non prepara gli studenti ad affrontare le sfide della vita reale. Inoltre, si concentra sulle nozioni invece che sullo sviluppo del pensiero critico e della creatività.

Uno studio recente pubblicato su “Educational Researcher” ha rilevato che i paesi che hanno un alto punteggio in test standardizzati, come il Programme for International Student Assessment (PISA), non necessariamente hanno una maggiore percentuale di studenti che diventano adulti creativi e innovativi.

In contrasto, una formazione culturale completa prepara gli studenti a diventare cittadini attivi e pensatori indipendenti, in grado di comprendere e risolvere problemi complessi. Inoltre, una formazione culturale incentrata sull’apprendimento per esperienza e sull’educazione alla creatività e al pensiero laterale, prepara gli studenti per le professioni del futuro, che richiederanno sempre più competenze trasversali e capacità di pensiero creativo.

Dobbiamo incoraggiare l’apprendimento per esperienza e l’educazione alla creatività e al pensiero laterale, oltre che alla memorizzazione di nozioni specifiche. Solo in questo modo possiamo preparare i nostri giovani ad affrontare le sfide del futuro e a diventare cittadini attivi e pensatori indipendenti.

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I rischi del Politainment: quando informazione e intrattenimento si mescolano

di SKA su Cultura, Marketing il 21 Dicembre 2022, 13:02

Il Politainment è una parola che unisce il concetto di “politica” e “intrattenimento”, e si riferisce alla tendenza sempre più diffusa di utilizzare l’intrattenimento come mezzo per veicolare messaggi politici o per trattare temi di attualità in modo leggero e accattivante. Questo fenomeno è stato particolarmente evidente negli ultimi anni, sia nei programmi televisivi che sui social media, dove c’è una forte pressione per creare contenuti che siano allo stesso tempo divertenti e condivisibili, ma che allo stesso tempo trasmettano un messaggio o un’agenda politica.

In un’epoca in cui l’attenzione del pubblico è sempre più frammentata e concorrenziale, il Politainment rappresenta un modo per catturare l’attenzione delle persone e per coinvolgerle in modo più profondo, sfruttando il potere emotivo e persuasivo dell’intrattenimento. Tuttavia, questa tendenza presenta anche dei rischi e delle sfide, poiché implica una fusione sempre più stretta tra informazione e intrattenimento, e può portare a una distorsione della realtà o a una manipolazione dell’opinione pubblica.

Uno dei modi in cui il Politainment si è manifestato in modo più evidente negli ultimi anni è attraverso l’utilizzo dei social media, dove i contenuti virali e le campagne di sensibilizzazione spesso si mescolano con la propaganda politica e le fake news. In questo contesto, il confine tra informazione e intrattenimento diventa sempre più sottile, e spesso è difficile per il pubblico distinguere ciò che è vero da ciò che è falso o manipolato.

Inoltre, l’evoluzione dell’intrattenimento digitale ha reso sempre più facile per i creatori di contenuti di raggiungere un pubblico globale, e ciò ha contribuito a diffondere il Politainment a livello mondiale. I programmi televisivi e i film che trattano temi di attualità o che promuovono un’agenda politica sono diventati sempre più popolari, e spesso vengono diffusi online attraverso piattaforme di streaming come Netflix o Hulu.

Tuttavia, nonostante il successo del Politainment, c’è anche una preoccupazione crescente per gli effetti che questa tendenza può avere sulla qualità dell’informazione e sulla nostra capacità di comprendere il mondo che ci circonda.

Sfide e dei rischi che questa tendenza presenta

Innanzitutto, c’è il rischio di una distorsione della realtà. Quando l’intrattenimento e la politica si mescolano, il risultato può essere una rappresentazione distorta o parziale dei fatti, che può portare a una comprensione errata della realtà o a una manipolazione dell’opinione pubblica. Ad esempio, se un programma televisivo o un film presenta una versione parziale o distorta di un evento storico o di un problema attuale, può influire sulla percezione che le persone hanno di quell’evento o di quel problema.

Inoltre, il Politainment può creare una dipendenza dall’intrattenimento, che può a sua volta portare a una disconnessione dalla realtà. Se le persone sono costantemente esposte a contenuti che mescolano informazione e intrattenimento, possono avere difficoltà a distinguere tra ciò che è vero e ciò che è falso, e possono anche diventare meno inclini a cercare fonti di informazione indipendenti o a fare domande critiche.

Infine, il Politainment può anche portare a una polarizzazione dell’opinione pubblica, poiché spesso i contenuti che veicolano messaggi politici o temi di attualità sono progettati per suscitare emozioni e coinvolgere le persone in modo profondo. Se questi contenuti tendono a presentare una visione unilaterale o a esasperare le differenze di opinione, possono contribuire a creare un ambiente polarizzato e divisivo.

Il Politainment rappresenta una tendenza che può avere sia vantaggi che svantaggi. Se utilizzato in modo responsabile e critico, può essere un modo efficace per catturare l’attenzione del pubblico e per trasmettere messaggi importanti. Tuttavia, è importante che il pubblico sia consapevole dei rischi e delle sfide che questa tendenza presenta, e che sia pronto a fare domande critiche e a cercare fonti di informazione indipendenti.

Soluzioni che possono essere adottate per affrontare i rischi e le sfide che questa tendenza presenta

Innanzitutto, è importante che i media e i creatori di contenuti abbiano una maggiore responsabilità nella rappresentazione accurata e equilibrata dei fatti e delle opinioni. Ciò significa che dovrebbero evitare di presentare una versione parziale o distorta della realtà, e dovrebbero invece cercare di fornire una panoramica completa e equilibrata dei diversi punti di vista.

Inoltre, è fondamentale che il pubblico sia educato a fare domande critiche e a cercare fonti di informazione indipendenti. Ciò significa che dovrebbero essere incoraggiati a verificare le fonti e a cercare più di una fonte per confermare la veridicità di una notizia o di un’opinione. Inoltre, dovrebbero essere incoraggiati a sviluppare il proprio senso critico e a valutare l’affidabilità e la coerenza di ciò che leggono o vedono.

Infine, è importante che ci sia una maggiore trasparenza e accountability nei media e nei social media, in modo che il pubblico possa avere una comprensione più chiara di come viene prodotto e diffuso il contenuto. Ad esempio, i media dovrebbero essere più trasparenti riguardo alle fonti di finanziamento e alle relazioni con gli inserzionisti, e i social media dovrebbero fornire maggiori informazioni su come vengono selezionati e promossi i contenuti.

In conclusione, il Politainment rappresenta una tendenza che ha il potenziale per coinvolgere e informare il pubblico in modo efficace, ma che presenta anche rischi e sfide importanti. Per affrontare queste sfide, è importante che i media e i creatori di contenuti abbiano una maggiore responsabilità e trasparenza, che il pubblico sia educato a fare domande critiche e a cercare fonti di informazione indipendenti, e che ci sia una maggiore accountability nei media e nei social media. Solo in questo modo potremo garantire che il Politainment sia una forza per il bene e non per il male.

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La disinformazione come fenomeno sociale e l’emersione delle logiche da “branco” – Valigia Blu

di SKA su ControInformazione, Cose dette da altri il 2 Ottobre 2022, 17:30

Il pensiero occidentale è teso a glorificare l’individuo moderno come un essere razionale, alimentando un’immensa fiducia nel singolo. Ma gli esperti di economia comportamentale hanno dimostrato, invece, che la maggior parte delle decisioni umane è basata su reazioni emotive e scorciatoie euristiche, piuttosto che su un’analisi razionale. Il premio nobel per l’economia nonché cofondatore dell’economia comportamentale, Daniel Kahnemann, ha spiegato che gli esseri umani prendono decisioni in base a due modalità: la prima basata sull’intuizione, che tende a decidere con impulsività e in base a sostituzioni (ad esempio la distanza di un oggetto è valutata in base alla nitidezza), cioè utilizzando i risultati di situazioni simili già processate, e che quindi è manipolabile e incline agli errori; la seconda basata sulla logica che decide in base a tutti gli elementi disponibili, che però tende a ritardare le decisioni quando, spesso, non ritiene di avere sufficienti elementi (Kahneman, Pensieri lenti e veloci).

A pensarci bene anche l’individualità appare soltanto un mito. La nostra conoscenza spesso risiede al di fuori di noi, in genere nel gruppo di cui facciamo parte, nelle comunità della conoscenza cui ciascuno appartiene (Rozenblit,Keil, The misunderstood limits of folk science: an illusion of explanatory depth). Ben pochi individui possiedono le conoscenze per costruire un razzo spaziale, eppure ci illudiamo di avere tali conoscenze perché ne abbiamo accesso come gruppo. Ed è proprio l’affidamento al “pensiero di gruppo” che ci ha reso padroni del mondo e ci ha consentito di andare avanti senza rimanere impigliati dal tentativo impossibile di capire tutto da soli.

L’illusione della conoscenza, però, ha i suoi lati negativi. Il mondo è talmente complesso che le persone non sono nemmeno più in grado di capire quanto la loro conoscenza di ciò che accade nel mondo sia limitata. Così chi non sa nulla di scienze climatiche e meteorologia propone politiche sul cambiamento climatico, e così via. Queste persone molte spesso tendono ad affiancarsi a persone che la pensano come loro su determinati argomenti, e con ciò all’interno del gruppo tendono a rinforzarsi vicendevolmente le loro opinioni. La presunzione di sapere viene costantemente rafforzata e raramente verificata.

E nemmeno gli scienziati sono immuni al “pensiero di gruppo”, ad esempio ritenendo che sia sufficiente veicolare le evidenze scientifiche alla gente per far smettere loro di credere nelle fake news. Tali speranze si fondano sull’incomprensione del “pensiero di gruppo”, e quindi sul funzionamento del nostro modello cognitivo. La maggior parte delle nostre idee, infatti, è plasmata dal pensiero di gruppo non dalla razionalità individuale. Il pensiero di gruppo serve spesso a consolidare la lealtà al gruppo, quindi tende a prevalere anche sui fatti.

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Tecnologia e digitale: ecco i metodi di pagamento oggi più utilizzati

di SKA su Marketing il 27 Maggio 2022, 17:57

La tecnologia e la digitalizzazione sono processi che hanno cambiato radicalmente le nostre abitudini. Tra gli aspetti principali che possono essere testimoni di questo cambiamento troviamo sicuramente i metodi di pagamento. Oggi come oggi è possibile effettuare dei pagamenti in tantissime modalità differenti, molte di esse basate essenzialmente sulla rete. Vediamo nel dettaglio i metodi di pagamento più diffusi ad oggi.

Bonifico bancario

Uno dei metodi più utilizzati dai consumatori è sicuramente il bonifico bancario. Si tratta di un metodo che viene utilizzato oggi probabilmente di meno rispetto al passato per pagamenti tradizionali, come gli acquisti di prodotti tramite Internet, ma che mantiene la sua importanza. La transazione tramite questo metodo viene confermata con una comunicazione, che oggi può avvenire tramite e-mail o/e SMS; si può anche sfruttare l’invio della ricevuta elettronica dopo l’avvenuto bonifico. Interessante constatare il fatto che oggi venga utilizzato per tantissimi servizi: basti pensare al fatto che in molti si informano su come ricaricare conto gioco con bonifico bancario.

Carte di credito e carte prepagate

Le carte, a prescindere da tutto, rimangono tutt’oggi tra i metodi più diffusi. Per quanto riguarda le carte di credito, tale metodo viene ormai considerato tra i più affermati anche per gli acquisti in rete: difatti, l’utente ha soltanto la necessità di compilare un form web dedicato, riportando i dati della carta e i propri. Le carte prepagate, invece, sono utilizzate anche da persone che non hanno un conto corrente e possono essere usati per i più svariati utilizzi. Anche in tal caso sarà necessario inserire solo i dati della carta, quelli del titolare e generalmente il codice PIN. Si tratta di metodi che assicurano grande protezione.

PayPal

Negli ultimi tempi, il metodo di pagamento basato su PayPal si è affermato in maniera impressionante. Si tratta di un metodo che è legato ad una sorta di wallet digitale, collegato a un conto bancario o ad una carta prepagata. Forse uno dei metodi più veloci per effettuare pagamenti in rete: difatti, qualsiasi persona che abbia un indirizzo e-mail poi inviare e ricevere denaro con PayPal. Una volta aperto il conto PayPal è necessario collegarlo ad uno dei metodi di pagamento sopracitati. Già appena effettuato l’accesso si possono effettuare varie operazioni (la commissione applicata può variare a seconda del tipo di pagamento o transazione).

Monete virtuali

Chiunque ha potuto constatare negli ultimi anni un vero e proprio boom per quanto riguarda l’utilizzo di monete virtuali. Da quando il Bitcoin ha fatto il suo ingresso nel mercato, sono passati alcuni anni: oggi la situazione è molto differente. Basti pensare al fatto che vi siano in circolazione centinaia di monete virtuali utilizzabili per gli scopi più disparati. Proprio in quest’ottica, possiamo citare come tra i metodi di pagamento più gettonati ed utilizzati proprio le monete virtuali. La transazione è efficace, sicura e molto veloce: non è da escludere che in futuro gran parte dei pagamento online vengano effettuati proprio tramite le criptomonete, che ormai la stanno facendo da padrone.

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No alla pornografia del dolore (una nota da ricondividere)

di SKA su Cose dette da altri, Notizie Commentate il 1 Aprile 2022, 12:37

Riceviamo e pubblichiamo, condividendone integralmente il contenuto, una nota congiunta di Cpo Fnsi, Cpo Usigrai, Coordinamento Cpo Cnog e Gi.U.Li.A. Giornaliste.

«Carol Maltesi era una ragazza e una mamma. Carol aveva già conosciuto la violenza e l’aveva combattuta. Carol è stata uccisa; il suo corpo fatto a pezzi, messo in un congelatore, buttato giù per un pendio dentro sacchi neri, quelli che si  utilizzano per l’immondizia. Una donna trattata come un rifiuto da chi l’ha ammazzata e si è accanito su di lei e dalla narrazione tossica, nelle parole e nei titoli, di questo femminicidio: Charlotte era “un’attrice porno”, il carnefice “un impiegato di banca e food blogger”, lei vittima di “un raptus”. Questa non è informazione; è pregiudizio sotto forma di giornalismo, è il pericoloso, reiterato approccio che cerca giustificazioni per il femminicida e colpe per la vittima».

«Così si cestinano la deontologia, il Manifesto di Venezia, il rispetto per la persona: tutto ciò per qualche visualizzazione o copia venduta in più. Le Commissioni pari opportunità Fnsi e Usigrai, il Coordinamento Cpo Cnog e l’associazione Giulia Giornaliste denunciano e condannano la spettacolarizzazione, il voyerismo, la pornografia del dolore e segnaleranno le testate e gli autori e le autrici degli articoli agli Ordini regionali di competenza, chiedendo un’azione disciplinare, perché il diritto di cronaca non può mai trasformarsi in un abuso». 

Le Cpo Fnsi e Usigrai, il Coordinamento Cpo Cnog e  Giulia Giornaliste «invieranno una richiesta di incontro urgente alla ministra per le Pari Opportunità, Elena Bonetti, alla presidente della commissione d’inchiesta sul Femminicidio, Valeria Valente, e alla presidente dell’intergruppo della Camera per le Donne, i diritti e le pari opportunità, Laura Boldrini, perché l’istituzione di un Osservatorio permanente sull’applicazione dell’articolo 5 del testo unico deontologico e del Manifesto di Venezia non è più differibile».

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Marketing relazionale: ecco tutto quello che c’è da sapere

di SKA su Marketing il 17 Gennaio 2022, 11:32

Creare un rapporto con i clienti è la base di una strategia di successo, non solo online, ma anche offline. È ciò che si definisce “marketing relazionale”, quello che non si limita a promuovere il prodotto, a illustrare ogni suo aspetto e possibile vantaggio, ma a far conoscere l’azienda e il brand, a creare un’interazione diretta con i clienti e potenziali tali in modo rendere il legame più forte.

Uno dei modi per creare da subito coinvolgimento del marketing relazionale è attraverso il lead nurturing, ovvero l’invio di messaggi automatizzati che hanno appunto il compito di costruire relazioni con i clienti. Non si tratta più quindi di ciò che vendiamo, ma anche e soprattutto di quello che possiamo offrire come persone. Per creare davvero empatia e relazione al cliente non basta più solo conoscere il prodotto che offriamo, ma anche chi siamo e perché dovremmo essere scelti rispetto alla concorrenza.

Muoversi nel marketing relazionale può apparire difficile, per questo motivo abbiamo pensato di stilare una lista di tutto ciò che occorre conoscere a riguardo.

Il marketing relazionale: un nuovo approccio

Il marketing tradizionale è basato sull’interazione B2B (business to business) o B2C (business to consumer). Ciò comporta una differenziazione della strategia di a seconda dei soggetti a cui ci riferiamo, ma il marketing relazionale va oltre e abbatte questa barriera per creare un’interazione H2H (human to human).

Che si tratti infatti di un’altra azienda o di un consumatore finale, non si deve mai dimenticare che dietro c’è una persona, proprio come noi. È a quella che mira il marketing relazionale, alla creazione di una fiducia reciproca e un interesse vero e duraturo.

Rispetto al marketing tradizionale, veloce e mirato alla conversione immediata, quello relazionale è più lento, ma al tempo stesso più duraturo. Conoscendo ciò che davvero è l’azienda, il cliente o potenziale tale crea un legame profondo e in qualche caso indissolubile che porta ad una conversione costante sul lungo periodo.

La creazione di una lead nurturing

Condizione importante per procedere con il marketing relazionale è la lead nurturing, ovvero la creazione di messaggi automatizzati volti a costruire il rapporto con il cliente. Questi devono essere quanto più personali possibile, per permettere al cliente stesso di sentirsi maggiormente apprezzato e far comprendere l’intenzione dell’azienda o del brand di essere davvero vicini.

I messaggi del lead nurturing possono anche essere le più tradizionali newsletter che offrono un contenuto utile, sull’azienda e sul prodotto, e che magari incentivino la conversione attraverso uno sconto. La base è sempre la comunicazione costante, non finalizzata direttamente alla vendita, ma al farci ricordare dal cliente, dimostrare che, anche se non acquista un nostro prodotto, noi non ci dimentichiamo di lui.

Raccontare qualche evento importante per il nostro business può ad esempio essere un’ottima strategia di lead nurturing per il marketing relazionale. Permette infatti di far sentire il cliente già fidelizzato e quelli ancora in fase di coinvolgimento, più partecipi e quindi interessati. Far sentire, anche attraverso le comunicazioni scritte, il lato umano del brand aiuta a rendere il marchio più vero.

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“La Metamorfosi” di Kafka educa all’empatia verso la sofferenza di chi vive una condizione diversa – THE VISION

di SKA su Cose dette da altri, Cultura il 14 Dicembre 2021, 16:17

Ne La metamorfosi di Franz Kafka il protagonista e voce narrante Gregor Samsa si ritrova improvvisamente nel corpo di un enorme insetto. Nel testo non c’è scritto espressamente che questo sia uno scarafaggio, come in molte traduzioni è stato esplicitato: “Ungeziefer” in tedesco significa semplicemente insetto infestante, ma in effetti dalle varie scene si può desumere che l’autore avesse in mente proprio qualcosa di simile. Fatto sta che un uomo come Samsa, un commesso viaggiatore che vive con la propria famiglia, si ritrova d’un tratto immerso in una condizione nuova: la diversità. Iniziano così una serie di dinamiche attraverso cui lo scrittore non ci mostra soltanto un personaggio, ma ci fa immedesimare a pieno nel suo protagonista, imponendoci di calarci in prima persona nei panni dell’escluso.

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Il sistema dell’informazione è diventato avido e opaco – Nuovo e Utile

di SKA su Cose dette da altri, Marketing, Notizie Commentate il 27 Ottobre 2021, 12:48

Per capire come costruirci un buon futuro ci tocca ragionare sul sistema dell’informazione. Di fatto, ogni nostra decisione, piccola o grande, riguardante i prossimi trenta minuti o i prossimi trent’anni, si basa su quello che noi sappiamo adesso.
E quello che noi adesso sappiamo, o crediamo di sapere, rispecchia l’assieme delle informazioni che, nel corso delle nostre vite e fino a questo momento, ci hanno raggiunto e colpito. E che, convincendoci della loro rilevanza, hanno incessantemente contribuito a formare, a modificare (o a deformare) la nostra visione di noi stessi e delle cose.

DECIDERE RAZIONALMENTE. Poter disporre di informazioni di qualità è fondamentale perché sia i singoli, sia i governi decidano bene e, per dirla con Steven Pinker, in modo razionale e responsabile: tale, cioè, da “salvare il mondo”.
Il problema è che il sistema dell’informazione non è mai stato così turbolento, pervasivo e soverchiante, opaco e tossico. Mai così capace di influenzare in modo istantaneo gli orientamenti individuali e collettivi. E mai così complesso: talmente complesso che osservarne le dinamiche è difficile. Qui di seguito riassumo alcuni punti. Unendoli è possibile, se si vuole, cominciare a farsi un quadro.

SITUAZIONE INEDITA. In realtà, tutto il sistema dell’informazione oggi ruota attorno a un piccolo gruppo di entità che fino a venti, a dieci o a cinque anni fa neanche esistevano. Facebook viene concepito nel febbraio del 2004 e arriva in Italia nel maggio del 2008. Youtube pubblica il suo primo video ad aprile 2005. Twitter si costituisce nel 2007. WhatsApp viene lanciata nel novembre 2009. Instagram nasce nell’ottobre 2010. Telegram nasce nel 2013. Il lancio di TikTok è del settembre 2016.
Google precede tutti perché nasce nel 1998.
Già nel 2011 un articolo dell’Università dell’Indiana segnala che i social media stanno disegnando un nuovo ecosistema. La disintermediazione offre opportunità e implica rischi inediti. E le cose succedono così in fretta che neanche si riesce a capirne fino in fondo il funzionamento e le conseguenze. Tanto meno si riesce a stabilire delle regole.

 

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Come la mafia olandese è diventata una delle più potenti del mondo – Il Post

di SKA su Cose dette da altri, Notizie Commentate il 13 Ottobre 2021, 10:56

I servizi di sicurezza olandesi hanno alzato da alcuni giorni il livello di sorveglianza e protezione per il premier Mark Rutte. Il quotidiano De Telegraaf  ha scritto che nei dintorni dell’abitazione del primo ministro le videocamere di sorveglianza avevano registrato la presenza di alcuni giovani “vedette” di organizzazioni criminali: per questo è stato deciso di aumentare la sorveglianza «visibile e non visibile», ha scritto il quotidiano.

Il pericolo per Mark Rutte viene, secondo la polizia e la stampa, dalla “mocro maffia”, l’organizzazione criminale olandese che, con la ‘ndrangheta calabrese, controlla gran parte del traffico di cocaina e di droghe sintetiche in Europa e che è sospettata di aver deciso e portato a termine, a luglio, l’omicidio del giornalista Peter de Vries.

In questi mesi nei Paesi Bassi si è parlato molto di “mocro maffia” anche perché è in corso il processo Marengo (i nomi di inchieste e processi nei Paesi Bassi vengono scelti casualmente da un computer come presto forse avverrà anche in Italia), i cui imputati sono 17 elementi dell’organizzazione criminale. Tra questi c’è il capo indiscusso dell’organizzazione, Ridouan Taghi, 43 anni, olandese di origini marocchine, arrestato a Dubai nel 2019 e ora detenuto nel carcere speciale di Nieuw Vosseveld a Vught. Gli imputati sono accusati di nove omicidi, commessi dal 2015 al 2019 e dell’enorme traffico di stupefacenti per cui vengono utilizzati i porti di Rotterdam, nei Paesi Bassi, e Anversa, in Belgio, come snodo per i carichi in arrivo da Sudamerica e Africa. La sentenza dovrebbe essere emessa l’anno prossimo.

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20 anni dopo, il G8 di Genova resta ancora una ferita aperta – THE VISION

di SKA su Cose dette da altri, Notizie Commentate il 19 Luglio 2021, 14:36

Dai fatti del G8 sono ormai passati vent’anni e anche chi allora non era nato, oggi ha l’età per votare. Io stessa, nel luglio del 2001, non avevo ancora compiuto quattro anni. Cosa rimane di quello che fu definito dal pm Enrico Zucca come “la più grave violazione dei diritti umani occorsa in una democrazia occidentale dal dopoguerra”? e da Amnesty International come “una violazione dei diritti umani di dimensioni mai viste nella recente storia europea”. Chi, come me, ne ha sentito solo l’eco, ne intuisce la gravità nella fronte aggrottata e i muscoli tesi di chi invece era presente e continua a testimoniare. Raccontare ciò che accadde, gettare luce su ciò che venne liquidato in fretta da una classe politica connivente, è l’unica arma che è rimasta alle vittime che hanno visto i loro carnefici rimanere impuniti, quando non fare addirittura carriera nei corpi di polizia.

Si parla di trauma generazionale, di perdita dell’innocenza, di macelleria messicana. Le immagini che rimangono sono quelle sfocate dei pestaggi, il suono è quello delle urla di terrore. E poi un nome che riecheggia: Carlo Giuliani. Tutto questo rimane. Eppure, non è seguita nessuna rilevante conseguenza giudiziaria o politica. Un enorme rimosso storico. A vent’anni dai fatti, è bene trovare parole migliori per raccontare e ricordare ciò che accadde, per rendere giustizia alle vittime, identificare i colpevoli e connotare quei generici “fatti”.

Genova era stata scelto per ospitare la conferenza dei capi di Stato delle otto economie più importanti del mondo. Durante il summit, i leader dei Paesi membri del GB dovevano discutere di importanti questioni di politica ed economia internazionale. Un enorme movimento di contestazione si era organizzato per essere presente e manifestare il proprio malcontento nei riguardi di una politica sempre più estranea alle rivendicazioni dei cittadini. Essere a Genova durante le giornate del summit era un fatto simbolico, uno strumento del popolo, garantito dalla costituzione, per tentare di imporsi come interlocutore politico. Si contestava il neoliberismo, la globalizzazione sfrenata, la precarizzazione del lavoro, la violazione dei diritti umani e la condizione di povertà estrema in cui versavano i due terzi del mondo a favore del benessere di una minoranza di Paesi ricchi, temi che a distanza di vent’anni continuano a riecheggiare nelle piazze piene di manifestanti di tutto il mondo. Il fronte della contestazione, genericamente definito “noglobal” era ampio e variegato: c’erano i vecchi della sinistra extraparlamentare italiana, gli esponenti delle associazioni umanitarie, i cattolici, i pacifisti della rete Lilliput, Manitese, i cobas, Attac, i centri sociali. E poi c’erano gli studenti, i giovani venuti da ogni parte del mondo per esprimere – si dirà poi “ingenuamente” – la fiducia in un mondo guidato da ideali di equità e giustizia.

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Come gli italiani trascorrono il tempo libero online

di Camerata Stizza su Notizie Commentate il 28 Giugno 2021, 16:30

Con gli smartphone che ormai ci accompagnano in ogni attività del quotidiano e i ritmi sempre più frenetici cui siamo sottoposti, ritagliarsi dello spazio per passare del tempo libero in spensieratezza e coltivare i propri hobby diviene sempre più difficile. Fare giardinaggio, bricolage e attività fisica sono delle attività che aiutano a rilassarsi ma ormai la maggior parte del tempo libero viene trascorso su internet: oggi andremo a vedere quali sono le attività compiute dagli italiani su internet e per mezzo dei dispositivi mobili e fissi di nuova generazione.

I dati del gioco online

Tra le attività preferite per intrattenersi c’è indubbiamente il gioco online. Stiamo parlando di un settore che continua a crescere di anno in anno e che fa registrare dei numeri incredibili in termini di utili. Tanto per intenderci, negli ultimi 10 anni quello dei videogame è uno dei pochi comparti che non ha mai conosciuto battute d’arresto. A fare da traino ai videogiochi ci sono le vendite di titoli per smartphone, che negli ultimi 10 anni sono cresciute in media del 90% annuo. Proprio gli smartphone e i tablet hanno cambiato il modo stesso di intendere i videogame e uno dei dati più interessanti è quello che ci racconta la durata media delle sessioni di giochi dell’ultimo anno. Mentre le sessioni di gioco su device fissi e su console sono in media di 90 minuti, dato che aumenta tra i più giovani, quelle effettuate a mezzo device mobile sono molto più brevi e generalmente non sono superiori ai 20 minuti l’una. Questo è un dato che ci racconta meglio di altri come stiano cambiando le abitudini degli italiani che ormai giocano ai videogame ogni qual volta se ne presenti l’opportunità. Negli ultimi tempi, inoltre, le stesse aziende produttrici di videogame stanno incrementando la propria offerta di giochi per dispositivi mobili che sono ora una parte importantissima del mercato del gaming, sia con giochi impegnativi e “pesanti” come FIFA e PES, sia con giochi molto meno impegnativi come Ruzzle e Minecraft. Per le stesse ragioni continua a crescere anche il giro d’affari del gioco d’azzardo, soprattutto grazie ai tanti casinò online presenti sul mercato. Il numero di utenti che decide di intrattenersi con i tradizionali giochi da casinò come poker, blackjack e roulette cresce di anno in anno, tanto che nel solo 2020 questo comparto ha generato un gettito fiscale superiore ai 10 miliardi di euro.

Crescono gli acquisti a mezzo internet

Uno dei fenomeni del 2020 è stato quello degli acquisti a mezzo internet che ormai in tutto il mondo vede attivi più di due miliardi di persone. Soprattutto negli ultimi 12 mesi, le vendite online sono cresciute sensibilmente e nessun settore è stato risparmiato. Quello dell’agroalimentare è tra i comparti che ha visto aumentare maggiormente il proprio indotto, tanto da crescere di circa 4 miliardi di euro su base annua. Crescono anche le vendite di prodotti di arredamento per la casa, di prodotti di elettronica e di abbigliamento, che insieme all’agroalimentare vanno a integrare quasi il 90% degli acquisti totali effettuati a mezzo internet. Il merito di tale successo è sicuramente degli e-commerce, che poco tempo fa venivano utilizzati solo dai grandi colossi delle vendite e che, invece, ora sono stati messi in piedi anche dalle piccole e medie imprese per allargare i propri canali di vendita. La sempre maggiore fiducia dei consumatori nei confronti del web e il sempre maggior utilizzo di internet hanno aiutato e non poco gli e-commerce nel loro processo di crescita, ma uno dei dati più interessanti per comprendere il fenomeno è quello relativo ai dispositivi con cui vengono piazzati gli acquisti. Più della metà delle transazioni effettuate a mezzo internet vengono compiute da smartphone e circa 70% di queste viene compiuto d’impulso, ovvero accedendo a un e-commerce senza avere le idee chiare su cosa e se acquistare.

Quanto aumentano le riproduzioni in streaming?

Soprattutto negli ultimi cinque anni, gli utenti delle piattaforme di riproduzione in streaming sono aumentati in maniera esponenziale e quasi tutte le aziende attive nel settore fanno registrare una crescita lenta e costante. La più nota tra le imprese specializzate nello streaming online è Netflix che ormai vanta più di 200 milioni di abbonati in tutto il mondo, ma i cui utenti reali sfiorano il miliardo. Il tempo speso dagli italiani per intrattenersi con lo streaming cresce di anno in anno e tale tendenza è stata confermata anche dal fatto che nelle ultime festività natalizie le ore passate davanti allo streaming sono passate dai 2 milioni del 2019 alle quasi 6 milioni del 2020. Le riproduzioni in streaming sembrano ormai destinate a dare una spallata decisiva al mondo televisivo, che continua ad accusare il colpo. Rai Play è uno degli esperimenti meglio riusciti ma il lavoro da fare per vincere la concorrenza di Netflix e Amazon Prime Video è ancora tanto. Restano tuttavia delle incognite legate alla reale capacità del nostro Paese di rispondere in termini infrastrutturali alla sempre maggiore richiesta di internet ad alta velocità. Nella prossima stagione la Serie A andrà quasi interamente in streaming su Dazn e vedremo se l’Italia sarà pronta o meno a sostituire totalmente il satellitare e il digitale con le riproduzioni a mezzo internet.

Il mondo che abbiamo imparato a conoscere fino a poco tempo fa non esiste più e tale circostanza è testimoniata dal modo in cui gli italiani trascorrono il tempo libero che, come abbiamo avuto modo di vedere, è quasi del tutto “digitale dipendente”.

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Anche fuori dal Louvre possiamo ammirare La Gioconda grazie a queste copie di Leonardo e non solo

di Camerata Stizza su Notizie Commentate il 14 Giugno 2021, 12:30

La Gioconda, detta anche La Monna Lisa, di Leonardo da Vinci è forse il quadro più celebre di tutti i tempi. Il suo enigmatico sorriso, il celebre sfondo e la storia stessa del quadro l’hanno reso inconfondibile anche a chi se ne intende poco di arte. Non tutti sanno però che La Gioconda ha diverse “sorelle” in giro per il mondo, che possono anche aiutarci a scoprire qualcosa di più su questa opera ancora in parte avvolta nel mistero.

La Gioconda originale

Quella che noi chiamiamo La Gioconda è per l’appunto un quadro a olio dipinto su legno di pioppo da Leonardo da Vinci a partire dal 1503 circa fin forse al 1517. Sembra infatti che il quadro negli anni abbia subito diversi rimaneggiamenti da parte dell’artista stesso dato che il suo aspetto attuale non rispetta del tutto alcune delle descrizioni dell’opera fatte all’epoca da contemporanei di Leonardo stessi. Il quadro è di piccole dimensioni, appena 77 cm x 53 cm, ma si pensa che i suoi bordi siano stati tagliati via in passato, in quanto diverse copie dell’opera riportano la presenza di due colonne ai lati della Monna Lisa oggi non visibili nel dipinto di Leonardo. Quel che è certo che è l’opera ha avuto una storia burrascosa, che l’ha portata solo nello scorso secolo al sicuro dietro una resistente teca di vetro presso il parigino museo del Louvre.

Nei secoli, però, La Gioconda è diventata l’emblema per eccellenza della pittura occidentale, diventando così uno dei quadri più riconosciuti al mondo, una tappa imperdibile per bel l’80% dei visitatori del Louvre, e la protagonista di diverse opere di finzione come il libro edito da Mondadori da cui è stato tratto un film omonimo Il codice da Vinci o slot digitali come Da Vinci Diamonds Masterworks giocabile su William Hill Vegas in cui La Monna Lisa appare tra i simboli principali. Non tutti sanno però che La Gioconda del Louvre non è l’unica Monna Lisa ammirabile in un museo.

Fonte: Unsplash

Le altre Gioconde

Nel 2005 gli studiosi ce ne hanno dato la conferma definitiva: la donna raffigurata nella Gioconda è senza dubbio Lisa Gherardini, della anche Lisa del Giocondo. Il quadro potrebbe addirittura però non essere il primo a raffigurare questa nobildonna fiorentina. Sono infatti diverse le versioni della Monna Lisa, per mano di Leonardo e non, presenti al mondo. La Monna Lisa di Isleworth, oggi parte di una collezione privata in svizzera, è ad esempio considerata da molti studiosi precedente alla Gioconda del Louvre e pare essere stata dipinta da Leonardo stesso. Presso il Museo del Prado di Madrid possiamo invece ammirare una copia della Gioconda che pare essere stata dipinta dagli stessi allievi di Leonardo, coeva forse all’opera originale, e le cui ottime condizioni ci possono dare una mano a capire quali fossero i veri colori dipinti da da Vinci sulla Monna Lisa, molto più brillanti di quelli che possiamo vedere oggi.

Risale invece alla metà del Seicento la Gioconda di San Pietroburgo, una copia fedele di autore sconosciuto conservata ancora oggi presso il Museo dell’Hermitage. Non dobbiamo invece uscire dal Louvre per ammirare invece uno schizzo di Raffaello a inchiostro, risalente all’incirca al 1505, che rappresenta proprio La Gioconda e riporta anche le due famose colonne ai lati di Lisa Gherardini. Durante il XX secolo La Monna Lisa è infine diventata il soggetto preferito da molte avanguardie artistiche, apparendo, spesso reinventata, nelle opere dadaiste di Marcel Duchamp e nei lavori di Basquiat e Banksy.

Fonte: Pixabay

Non bisogna andare necessariamente a Parigi per poter ammirare la celebre Monna Lisa. In giro per il mondo esistono infatti diverse versioni del quadro più celebre del mondo che ci aiutano a vedere l’opera anche attraverso la sensibilità di altri artisti e a capire quale fosse l’aspetto originale del quadro.

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Il ruolo dimenticato delle donne nella storia dell’informatica – Clive Thompson – Internazionale

di SKA su ControInformazione, Cose dette da altri il 19 Aprile 2021, 15:05

Negli anni cinquanta, quando era adolescente e viveva in Maryland, Mary Allen Wilkes non immaginava di diventare una pioniera dell’informatica. Il suo sogno era fare l’avvocata civilista. Ma un giorno del 1950 la sua insegnante di geografia delle medie la sorprese dicendo: “Mary Allen, da grande dovresti fare la programmatrice di computer”. Wilkes non aveva idea di cosa facesse una programmatrice, e non era neanche tanto sicura di cosa fosse un computer. Pochissimi statunitensi lo sapevano. I primi computer erano apparsi solo una decina d’anni prima nei laboratori delle università e del governo.

Quando nel 1959 si laureò al Wellesley college, in Massachusetts, Wilkes sapeva già che il suo sogno di diventare avvocata era irrealizzabile. Tutti i professori le ripetevano la stessa cosa: non provare neanche a fare domanda per iscriverti a giurisprudenza. “Lascia perdere”, le dicevano, “non entreresti mai. Anche se ce la facessi, non riusciresti a laurearti. E anche se ti laureassi, non troveresti mai un lavoro”. Dicevano che se alla fine avesse avuto la fortuna di laurearsi e di trovare un impiego, non avrebbe mai potuto discutere dei casi in tribunale. Molto probabilmente l’avrebbero relegata in qualche biblioteca, a fare la segretaria in uno studio legale o ad amministrare fondi fiduciari o proprietà immobiliari.

Ma Wilkes non aveva dimenticato il suggerimento della sua insegnante delle medie. Appena arrivata all’università sentì dire che i computer sarebbero stati le macchine del futuro. Sapeva che al Massachusetts institute of technology (Mit) ce n’era qualcuno. Così, subito dopo aver preso la laurea, si fece accompagnare all’Mit dai suoi genitori ed entrò decisa nell’ufficio assunzioni dell’ateneo. “Avete un posto da programmatrice?”, chiese. Ce l’avevano, e fu assunta.

Oggi può sembrare strano che l’istituto assumesse una persona senza nessuna esperienza specifica. Ma a quei tempi quasi nessuno aveva esperienza di programmazione. Come disciplina quasi non esisteva, c’erano pochissimi corsi universitari di programmazione e nessun corso di laurea specialistico (l’università di Stanford, in California, creò un dipartimento d’informatica solo nel 1965). Perciò gli istituti che avevano bisogno di programmatori si affidavano ai test attitudinali per valutare le capacità di ragionamento logico dei candidati. Wilkes aveva una certa preparazione di base perché aveva studiato logica matematica, che implica la capacità di argomentare e dedurre collegando tra loro operatori logici binari (and/or), un po’ come succede con i codici informatici.

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Itai Dzamara: la sparizione di un difensore dei diritti umani 

di SKA su ControInformazione il 9 Marzo 2021, 13:01

Il giorno in cui in Italia è comparso per la prima volta il nome di Itai Dzamara avevano appena ucciso un leone. Era il 28 luglio 2015 e la storia di Cecil stava uscendo praticamente su tutti i giornali, con un’ampia copertura e diffusione: nelle settimane precedenti era stato ucciso Cecil, un leone presentato al mondo come uno degli animali più famosi del parco nazionale Hwange in Zimbabwe.

Lo ricordo bene perché era casualmente anche il mio compleanno, di un’epoca in cui il mondo interno ed esterno non era stato ancora stravolto.

Il 9 marzo 2015 Itai Dzamara si trovava dal barbiere, nel quartiere Glen View della capitale Harare. Dopo pochi minuti cinque uomini fanno all’improvviso ingresso all’interno del negozio, accusando il ragazzo di aver rubato delle vacche. In pochi minuti lo ammanettano e lo caricato su un furgone dalla targa cancellata. Da quel giorno di marzo l’ubicazione di Itai e l’identità di coloro che sono dietro al rapimento sono rimaste sconosciute.

La storia di Cecil non era vera o comunque non era come ce la raccontarono. Però grazie a quel leone iniziai ad interessarmi alla storia di Itai: giornalista, attivista, fondatore di Occup e difensore dei diritti umani dello Zimbabwe, stato africano in quel momento ancora guidato con il pugno di ferro da Robert Mugabe.

Da allora, di anno in anno ho pensato che fosse una storia, ma soprattutto una vita che meritassero di essere raccontate anche in Italia ed in italiano. Alla fine l’ho fatto, al meglio delle mie possibilità

Avevo un debito di riconoscenza nei confronti di Itai e di sua moglie Sheffra, che ancora oggi chiede a gran voce di ricevere risposta ad una semplice domanda: dov’è Itai?

La storia integrale qui su Medium: Itai Dzamara: la sparizione di un difensore dei diritti umani | by Fabio Mascagna | Mar, 2021 | Medium

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Perché un ministero per le disabilità non dovrebbe esistere – Adriana Belotti – Internazionale

di SKA su Cose dette da altri, Notizie Commentate il 5 Marzo 2021, 17:44

Il ministero per le disabilità che, nel nascente governo Draghi, è presieduto dalla leghista Erika Stefani, non è una novità. Fortemente richiesto dal leader della Lega Matteo Salvini, era nato durante il primo governo Conte ed era stato guidato prima da Attilio Fontana e poi da Alessandra Locatelli, entrambi esponenti del Carroccio. Nel Conte II il ministero ha cessato di esistere e la delega in materia di disabilità è rimasta al presidente del consiglio.

Anche in tempi e condizioni normali, le minoranze – e le persone con disabilità lo sono – corrono il rischio di discriminazione ed emarginazione, ma il pericolo si acutizza in presenza di una crisi, quando un sistema fatica a garantire anche il rispetto dei diritti della maggioranza.

La prima ondata della pandemia di covid-19 ha evidenziato ed estremizzato una serie di criticità che hanno avuto conseguenze negative su tutta la cittadinanza, ma che hanno colpito più duramente le persone meno autosufficienti. La strage nelle strutture residenziali per ospiti anziani e con disabilità, la chiusura dei centri diurni per utenti disabili, la delega totale della relazione di assistenza ai caregivers familiari (in prevalenza donne), l’inadeguatezza delle tutele per i lavoratori e le lavoratrici disabili, il fallimento totale della didattica a distanza per gli studenti e le studenti con disabilità. O il grande cavallo di battaglia del primo governo Conte: il reddito di cittadinanza. Nonostante esistesse anche allora un ministero della disabilità e fossero state fatte grandi dichiarazioni di intenti a favore delle persone disabili (che sono tre milioni), pochissime tra loro hanno beneficiato del provvedimento.

Sono solo alcuni dei principali nodi venuti al pettine, acutizzati dalla fase di emergenza sanitaria ma a essa preesistenti.

Serve una presa di responsabilità
Nella fase che stiamo attraversando le priorità da affrontare in questo campo sono molte e interessano diversi ambiti. Fish e Fand, due delle principali organizzazioni per la difesa dei diritti delle persone disabili, riportano qualche esempio. In ambito sanitario mancano indicazioni chiare sulla disponibilità dei vaccini anti covid per quanti sono fisicamente più vulnerabili e per i loro caregivers; sul versante dell’inclusione scolastica numerose sono le carenze: dalla mancanza di insegnanti di sostegno specializzati al problema della continuità didattica per arrivare al nodo critico della carenza di ausili tecnologici e della presenza di barriere architettoniche negli edifici. Il mercato del lavoro è uno dei settori in cui la discriminazione nei confronti delle persone con disabilità è più evidente (solo il 31,3 per cento risulta occupato). Eppure le “Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità” non sono state ancora correttamente applicate.

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Dall’inizio del 2021 sono undici le vittime di femminicidio: la violenza sulle donne deve diventare tema dell’agenda politica – Valigia Blu

di SKA su Cose dette da altri, Notizie Commentate il 3 Marzo 2021, 13:25

Clara Ceccarelli è stata uccisa a Genova il 19 febbraio 2021 dall’ex compagno Renato Scapusi, che l’ha colpita con 115 coltellate. L’ha aspettata fuori dal suo negozio in centro, ha atteso che il commesso uscisse, e poi l’ha aggredita. Dopo averla lasciata a terra sanguinante, ha provato a scappare, ma è stato preso poco dopo. Clara è morta dissanguata, mentre arrivavano i soccorsi chiamati dai passanti.

Qualche anno fa aveva iniziato una storia con Scapusi, poi terminata per volontà della donna, che aveva deciso di allontanarlo dalla sua vita. Da quel momento in poi sono iniziati mesi di stalking e persecuzioni: telefonate anonime, danneggiamenti e atti di vandalismo al negozio e all’auto, minacce di morte.

Clara era sicura che il suo ex compagno facesse sul serio. Due settimane prima di essere uccisa, si era pagata il funerale per non gravare sulla famiglia e sul padre anziano e aveva contattato un tutore che si occupasse di lui e del figlio trentenne disabile. Si era presa cura delle sue cose, come si fa quando si è davanti a un destino ineluttabile, una malattia terminale o una sentenza di morte senza appello.

La stessa sorte è toccata il 22 febbraio a Deborah Saltori, colpita dall’ex marito con un colpo d’accetta a Cortesano, in provincia di Trento, e a Rossella Placati, uccisa dall’ex compagno a Bondeno (Ferrara).

Dall’inizio del 2021 sono undici le donne vittime di femminicidio: oltre ai tre casi menzionati, sono morte per mano di mariti, compagni o ex, Sharon Barni, Victoria Osagie, Roberta Siragusa, Teodora Casasanta, Sonia Di Maggio, Piera Napoli, Luljeta Heshta, Lidia Peschechera. Una donna uccisa ogni tre giorni, due alla settimana.

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A Bergamo nessuno sapeva – Il Post

di SKA su Cose dette da altri, Notizie Commentate il 22 Febbraio 2021, 12:55

Una storia orale sull’inizio dell’epidemia nella provincia di Bergamo e poin in tutta Italia. Per recuperare la memoria di quei giorni, e cercare di imparare qualcosa dalle sottovalutazioni dell’epoca

Il 23 febbraio 2020 vennero identificati i primi due casi di coronavirus in provincia di Bergamo. Dopo un periodo di sottovalutazione generale si capì gradualmente che la situazione stava precipitando: tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo il coronavirus riuscì a diffondersi in gran parte della provincia, soprattutto nei comuni della Val Seriana. I dati mostravano un’espansione rapida, ma era solo la traccia di una minaccia nascosta e ben più grande. Seguirono settimane di fatiche, sofferenze e migliaia di morti.

Negli ultimi mesi, le fasi più dolorose dell’emergenza a Bergamo sono state estesamente raccontate: tutto il mondo ha visto gli ospedali colmi di pazienti in gravi condizioni, il dramma di moltissime famiglie, le bare a riempire le chiese dei cimiteri, i convogli militari che hanno trasportato le salme fuori dalla regione per essere cremate.

Questa storia orale, basata su oltre 30 ore di interviste, audio inediti e una corposa documentazione di archivio, ripercorre i giorni che hanno preceduto l’arrivo della prima ondata in provincia di Bergamo, quando si pensava che sarebbe bastata una settimana di chiusura totale per tornare alla normalità. Le testimonianze di medici, amministratori e cittadini aiutano a capire le sottovalutazioni e i limiti delle decisioni prese in quei giorni, insieme al loro contesto, e suggeriscono che mancano ancora alcune risposte per spiegare quanto accaduto.

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Perché un nuovo colpo di stato in Birmania – Internazionale

di SKA su Cose dette da altri, Notizie Commentate il 10 Febbraio 2021, 11:25

Quando nel 2011 l’esercito ha messo fine a quasi cinquant’anni di regime militare, aprendo la strada a un governo civile, in molti si erano mostrati scettici sulla sua volontà di cedere davvero il potere. L’esercito aveva inizialmente cercato di escludere dal governo la più importante attivista per la democrazia, Aung San Suu Kyi, consegnando la guida del governo a un partito di fedelissimi dell’esercito. Quando ha finalmente permesso alla Lega nazionale per la democrazia (Nld) di Aung San Suu Kyi di formare un esecutivo dopo la vittoria elettorale nel 2016, ha comunque mantenuto un potere considerevole. Ma non, evidentemente, quanto avrebbe voluto.

All’alba del 1 febbraio l’esercito ha rovesciato il governo eletto, arrestando Suu Kyi. L’esercito ha dichiarato lo stato d’emergenza per un anno, consegnando il potere al capo delle forze armate, Min Aung Hlaing. I soldati, schierati nelle strade della capitale, Naypyidaw, e della città principale, Rangoon, hanno creato dei posti di blocco sulle arterie principali. Un decennio dopo aver ceduto volontariamente il controllo del paese, i generali se lo sono ripreso con la forza

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Giornalista, web designer e pubblicitario. Da blog di protesta negli anni in cui i blog andavano di moda, questo spazio è diventato col tempo uno spazio di riflessione e condivisione. Per continuare a porsi le giuste domande ed informare se stessi.