Se ne stava lì seduto a parlarci, con quel suo fastidioso accento alto-atesino ed un ghigno tagliato con una lama da 2 millimetri. Eravamo lì per un colloquio di lavoro, ma sembrava più la presentazione di una batteria di pentole da portarsi a casa.
Avevamo risposto ad un annuncio di lavoro part-time pubblicato sul giornale locale, sì insomma uno di quei lavoretti che fai per pagarti l’università e poco altro.
Non era ciò che ci si aspetterebbe da un colloquio di lavoro.
Noi gli aspiranti ed ignari lavoratori, lui il giovane selezionatore. Nel mondo del lavoro di solito un colloquio serve per venire selezionati. Lui invece voleva convincerci, con un vago retrogusto di supplica. Dopo mezza domanda rivolta a ciascuno dei presenti iniziò la sua esposizione, partendo dall’inizio. E per inizio intendo una premessa di 25 minuti. Eravamo in 4 attorno a quel tavolo, la mia Lei ed altri due esseri esseri di varia natura che sembrava uscite rispettivamente una da un centro di disintossicazione, l’altra da una discoteca.
Continuava con il download della tedesca presentazione societaria senza alcun accenno a ciò che dovessimo fare nel concreto. Un tedesco che fa lunghi discorsi aleatori ha solo due intenzioni: o vuole fregarti o vuole mettertelo nel culo.
Ci magnificava le caratteristiche del nostro futuro lavoro dei sogni senza lasciarci la possibilità di intervenire od interrompere, pena la perdita del “filo rosso”. Le virgolette le mette lui col gesto del coniglietto, indice e medio che simulano i virgolettati nell’aria.
Coglione non è la parola più appropriata, ma ci si avvicina.
Il filo rosso dovrebbe simboleggiare, secondo lui, la continuità del discorso. Un passo dopo l’altro. “Step by step”, dice virgolettando.
“Sì, ma il pagamento?”, domando. E intanto mi chiedo cosa c’entrino Goethe e l’inconscio Freudiano.. Ma poi lascio correre.
“Eh, sì, il pagamento. Andiamo per gradi, sai il filo rosso…”
“No, non so cos’è”, dico cambiando posizione. “Quand’è che si parla di soldi?”, insisto.
Mi guarda con un’aria tra lo schifato e l’imbarazzato. Per lui è un aspetto secondario, per noi no.
Poi ci arriva, a fatica. Fa cenno al contratto di collaborazione occasionale come fosse la cosa più scontata. Come per dire, che vi aspettavate di più? E invece era anche peggio. Un contrattino di collaborazione senza alcun fisso previsto, pagamento a provvigione. La provvigione proviene da un vero e proprio lavoro porta a porta, alla ricerca di sostenitori per un’associazione locale. Chi non sa cosa significhi essere pagati a provvigione crede di avere davanti l’occasione della vita. “Basta lavorare un po’ di più ed è fatta”, pensano molti. Invece no.
Veniamo rassicurati sul fatto che non c’è nessun bene da vendere porta a porta, è un’associazione benefica d’altronde. Ci da in mano un foglio con cifre scritte a caso, sono degli esempi di guadagno. Non le cifre reali, esempi. Dall’esempio e dalle parole del mezzo-crucco si evince che il pagamento avviene con le seguenti modalità: 16 € lordi per ogni RID ed 8 € lordi per ogni conto corrente fatti stipulare. Il lavoro consiste nel tampinare persone per un minimo di 4 ore al giorno e convincerle ad associarsi. Se non si associano non becchi un euro.
E’ importante sottolineare il “lordi”. Perchè da quei 16 ed 8 euro va detratto il 20%. Il pagamento avviene ogni 2 settimane, ma ti viene accreditato solo il 75% del totale in attesa che gli associati confermino il pagamento. Per chi lavora ogni persona che apre la porta è un potenziale RID, sono soldi che camminano. Qualora dicessero “no, grazie” sono soldi persi per te. E nessuno ti rimborsa quell’ora persa a girare casa per casa della gente.
Per i collaboratori porta-a-porta la merce sono le vecchiette. Per i capi, la merce siamo noi. E’ questo il momento in cui capiamo il motivo della finta selezione: alla piccola Srl non interessa chi lavora, l’importante è che ci sia qualcuno che lo faccia.
E provano anche a convincerci che il contratto di collaborazione occasionale sia la migliore opzione, perchè ti rende libero da vincoli. Co.Co.Co. Macht Frei.
Nuovi schiavi, ma col sorriso in bocca.