Cybernautica (chapt.1)
di SKA su La dimanche des crabes il 17 Febbraio 2008
Una volta ero un ragazzo come tanti, senza eccessi, senza tragedie. Normale, diciamo.
Certo, come tanti ho fatto le mie sane e genuine stronzate giovanili, magari non come quella che mi ha portato qua dentro, ma ne ho fatte.
Qualche canna, qualche cd o maglietta rubata, qualche ragazza illusa d’amore mentre a me bastava altro. “Qualche” se escludiamo quella vagonata di vere e proprie cozze che passava di tanto in tanto a casa mia. Ecco, in quel caso il “qualche” non rende propriamente l’idea.
Insomma, un po’ stronzo, ma in fondo tranquillo.
Ed ora cosa mi rimane?
Una penna, dei fogli di carta ingiallita (riciclata), una comodissima brandina, credo in ghisa, ed un vecchio 486 che su gentile concessione del direttore sono riuscito a farmi procurare, giusto per placare le mie crisi d’astinenza. Ah, c’è anche una sedia.
E tanto, tanto tempo.
Il pregio della cella d’isolamento è che non si ha mai modo di litigare con gli altri detenuti, tanto meno con la guardia di turno. Ho sentito spesso parlare di leggendarie scazzottate tra reclusi o delle sevizie inflitte agli altri “colleghi” più o meno nervosi. Beh, qui non c’è neanche quello.
Niente sangue, niente lividi, niente urla ne schiamazzi. Il “clang clang” dello sportello che si apre per pranzo e cena è l’unico contatto esterno che mi venga concesso.
Lo giuro, io ci provo a parlare col secondino di tanto in tanto, ma lui mugugna. Non gli è permesso parlare con me. Sono anche arrivato alla conclusione che il suo “mmh” significhi :”in fondo sei un bravo ragazzo, sappi che ti voglio bene”. E così sono un po’ più contento.
Lui è il mio amico, si chiama Gianni. O perlomeno, questo mese si chiama così, il mese scorso si chiamava Ernesto, il mese prima Ugo e prima ancora Archimede. In quel periodo credo mi abbia odiato.
E’ tanto che non penso più al perché io sia finito qui dentro.
In carcere c’è tanto tempo per pensare, ma anche tanto per dimenticare.
(…)
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