Su Aaron Swartz
di SKA su Cose dette da altri il 17 Gennaio 2013
di Eva Milan
La storia di Aaron Swartz, della sua persecuzione giudiziaria culminata con il suicidio, è LA NOSTRA STORIA. Un giovane talento informatico che ha dedicato, realizzato, infine sacrificato, la sua vita alla cultura libera, alla rete, alla filosofia dei Commons; allievo di Lessig e co-ideatore del Creative Commons oltre a moltissime altre piattaforme open, un hacker, un hacktivist, un fuorilegge secondo l’ordine costituito, una personalità riconosciuta nell’ambiente della programmazione Open e delle avanguardie intellettuali della rete.
”Uno di noi” per coloro che nella rete hanno trovato forme di lotta e comunicazione alternative, per i reduci di Seattle e Genova, per i blogger delle rivoluzioni arabe, per i giovani “Occupy”, per gli appassionati dell’open source, di Linux, del Copyleft, per gli artisti del Creative Commons.
”Uno di noi” per chi pensa che oggi la ribellione contro l’ordine costituito passa obbligatoriamente attraverso le lotte contro tutte le forme di egemonia culturale del Dio mercato e il suo dogma proprietario, repressivo e colonizzatore di territori, di corpi, di menti e luoghi della comunicazione. Luoghi reali e virtuali che hanno assunto un ruolo determinante come strumento di difesa e riproduzione del pensiero unico e della sua macchina del profitto, tanto da trasformare la rete in quel campo di battaglia profetizzato da Marshall McLuhan, l’Information Guerrilla, in cui tutti concorrono più o meno consapevolmente al sostegno di quella fortezza sociale, o “trappola”, come l’ha definita Richard Stallman, alle cui maglie si può sfuggire soltanto con la diserzione del conosciuto e la contemporanea creazione dell’”Altrove”, che è sinonimo di autogestione, di autogoverno, di biocentrismo.
E’ così che oggi il potere giudiziario, insieme a quello della repressione poliziesca, è lo strumento di difesa dei poteri che governano il turbocapitalismo tanto nel reale che nel virtuale, fino a perseguire un attivista dei diritti digitali come un criminale, ed equiparare la sottrazione di informazioni a scopo divulgativo a una frode con scopo di lucro, poiché soltanto questo è LO scopo contemplato dalla gestione mercantile del mondo, e quindi della Rete.
Il ribelle, il libertario, vive nell’”altrove”, disertando e infrangendo il dogma comunemente accettato, l’essere spettatori, l’essere partecipi alla farsa sistemica che sta determinando la crescente riduzione di tutti quegli spazi vitali, concreti, mentali, creativi, non contemplati, in cui sia soltanto concepibile disertare da quell’unica fonte di sopravvivenza e mantenimento, il sapere unico, il consumo, il profitto, la dipendenza necessaria da un sistema il cui meccanismo si innesca troppo lontano dal nostro controllo per essere individuato e sconfitto, ma che si riproduce attraverso noi stessi.
L’”autocontrollo” è nell’essere artefici, l’essere sabotatori, l’essere disertori.
Disertare per sfuggire al controllo, creando risorse, saperi e strumenti indipendenti fuori dall’egemonia mediatica, fuori dalle sue regole e leggi. Disertare, percorrendo un percorso differente, inconcepibile, rifiutando uno stile di vita o liberando i saperi dal profitto, essere un fuorilegge. Essere un libertario.
Il mantra individualista trasformato in donchisciottismo, in quell’autoesclusione attiva tutt’altro che chiusa in sé stessa ma altruista e votata al bene comune fino alle estreme conseguenze. La morte come atto finale estremo di diserzione e solitudine, che è forse la resa all’impossibilità stessa di praticare quell’Altrove collettivo, ma al tempo stesso affermazione e indicazione di un percorso di ribellione possibile, necessario.
Aaron Swartz, un sognatore che forse ha smesso di sognare, ma che finché ha potuto, ha praticato il sogno.
Sulla storia di Swartz leggere anche l’interessante punto di vista di Mantellini.