Proibizionismo = Mafie
di SKA su Antimafia, Cose dette da altri il 23 Gennaio 2014
Roberto Saviano è un autore mainstream, assolutamente inflazionato e con una sequela di potenziali criticità che non sto neanche ad elencare, soprattutto quando viene usato – o si erge da solo – a narratore/paladino di tutte le storture italiche.
Saviano ne sa di mafie e su questo aspetto vale la pena condividerlo ed approfondirne il pensiero, soprattutto perché espone le esatte motivazioni ed obiezioni per il quale mi trovo anche io a favore dell’antiproibizionismo in tema di “droghe leggere” (per farla semplicistica). In particolare quella legata al continuo sostentamento del narcotraffico e quindi delle mafie grazie ad una bizzarra domanda di mercato, spesso proveniente da aree sedicenti liberali. (grassetti miei)
Ho sempre detestato droghe leggere e pesanti. Sono quasi astemio, un occasionale bevitore di alcolici. Ma sono, invece, profondamente antiproibizionista. Indipendentemente dal mio rapporto con qualunque tipo di sostanza, dal mio stile di vita, dalle mie passioni e dalle mie repulsioni. Si ritiene, sbagliando, che essere antiproibizionisti significhi tifare per le droghe. Sottovalutarne gli effetti, incentivarne il consumo. Niente di più falso. Spesso, in Italia, le discussioni sui temi più delicati sono travolte da un furore ideologico che oscura i fatti e impedisce un dibattito sereno. È successo con l’aborto, con l’eutanasia, succede con le droghe. E non è possibile che una parte dei cittadini, che la parte maggiore delle istituzioni religiose – con il peso che la Chiesa Cattolica ha in Italia – e che la politica tutta, tranne pochissime eccezioni, si rifiutino di affrontare seriamente e con responsabilità questo tema. Non è possibile che la risposta alla tossicodipendenza sia nella maggior parte dei casi il carcere, che tracima di spacciatori e consumatori, ultimi ingranaggi di un meccanismo che irrora di danaro l’intero nostro Paese.
Proprio dalle pagine di Repubblica un grande giornalista scomparso prematuramente, Carlo Rivolta, raccontava di come la prima generazione di tossicodipendenti veri in Italia, quella degli anni Ottanta, fosse stata abbandonata a se stessa da uno Stato patrigno e non padre. Da uno Stato che preferiva considerare quei ragazzi zombie, morti viventi, tossici colpevoli. Ai quali nessuna mano andava tesa, e dei quali si aspettava solo la morte. Erano causa del loro male. Ci si domanda cosa sia cambiato a distanza di trent’anni, se nemmeno nel dibattito pubblico questi temi hanno trovato posto.
So che la legalizzazione delle droghe è un tema complicato, difficile da proporre e da affrontare. So che pone molti problemi soprattutto di carattere morale, ma un Paese come il nostro, che ha le mafie più potenti del mondo, non può eluderlo. Con tutti i problemi che ha il paese dobbiamo pensare alle canne, ai tossici e ai fattoni? Nulla di più superficiale che questo commento.
Bisognerebbe partire da una semplice, elementare constatazione: tre sono le forze proibizioniste più forti, e sono camorra, ‘ndrangheta e Cosa nostra. Del resto Maurizio Prestieri, boss di Secondigliano (rione Monterosa per la precisione) ora collaboratore di giustizia, mi disse una volta durante un’intervista: con tutto il fumo che i ragazzi “alternativi” napoletani compravano da noi, sostenevamo le campagne elettorali di politici di centrodestra in provincia.
Il proibizionismo (degli alcolici) ha già condotto l’uomo e lo Stato nell’abisso cento anni fa: non ha senso ripetere errori già commessi. La legalizzazione non è un inno al consumo, anzi, è l’unico modo per sottrarre mercato ai narcotrafficanti che, da sempre, sostengono il proibizionismo. D’altronde, è grazie ai divieti che guidano l’azienda più florida al mondo con oltre 400 miliardi di dollari di fatturato annuo. Più della Shell, più della Samsung. Se esiste una merce che non resta invenduta è proprio la droga. L’unica che non conosce crisi, che nonostante sia illegale ha punti vendita ovunque. È la merce più reperibile del mondo disponibile a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Nonostante questo, quando in Italia si arriva finalmente a discutere di antiproibizionismo, mancando la consuetudine, mancano finanche le informazioni basilari. I nostri ministri, sul narcotraffico, si limitano a fare encomi quando ci sono sequestri di droga, a elencare latitanti finiti in manette o ancora da arrestare. Eppure l’economia della droga è la prima economia: cemento, trasporti, negozi di ogni genere, grande distribuzione, appalti, camion, banche, compro oro, campagne elettorali – e l’elenco sarebbe interminabile – vengono alimentati dalle arterie del narcotraffico.
Gran parte della politica italiana (con poche eccezioni tra cui i Radicali da decenni impegnati nella lotta al proibizionismo) ritiene la questione legata esclusivamente alla repressione o alle dipendenze. Il dibattito si riduce a un problema di “drogati” o di “mafiosi” e in definitiva – questo è lo sbaglio maggiore – non si vede in che modo possa incidere nella vita quotidiana delle persone. Nulla di più falso.
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