La tassa rosa: perché le donne pagano di più per gli stessi prodotti
di SKA su Marketing il 28 Dicembre 2024, 14:22
Non lasciarti ingannare dal nome: la “pink tax”, o “tassa rosa”, non ha nulla a che vedere con il colore rosa. Non si tratta di un fenomeno estetico, ma di una pratica commerciale discriminatoria che colpisce le donne nei loro acquisti quotidiani. È il prezzo più alto che le consumatrici pagano per prodotti o servizi equivalenti a quelli maschili, solo perché sono destinati a loro. Questa forma di disparità economica nascosta si riflette sugli scaffali dei supermercati, nei negozi di abbigliamento e persino nei saloni di bellezza, rappresentando un problema reale e sistemico che va ben oltre una semplice questione di marketing.
Non una vera tassa
La cosiddetta “pink tax” o “tassa rosa” non è una tassa ufficiale, bensì una pratica di mercato discriminatoria per cui prodotti e servizi destinati alle donne sono spesso venduti a prezzi più alti rispetto a quelli equivalenti per uomini. Questo fenomeno, pur non essendo codificato nella legge, si traduce in una vera e propria penalizzazione economica per il genere femminile, aggravata dal divario salariale esistente tra uomini e donne.
Prodotti come deodoranti, rasoi, vestiti e giocattoli, quando progettati o etichettati specificamente per le donne, risultano spesso più costosi delle loro controparti maschili. Ma qual è la portata di questo fenomeno? E perché rappresenta un problema economico e sociale? Analizziamo il fenomeno attraverso studi e dati concreti.
Uno degli studi più esaustivi è stato condotto nel 2015 dal Dipartimento dei Consumatori di New York, che ha analizzato 800 prodotti con versioni specifiche per genere. I risultati sono stati schiaccianti: i prodotti destinati alle donne costavano, in media, il 7% in più rispetto a quelli destinati agli uomini. Ecco alcuni dati rilevanti emersi dall’indagine:
Secondo uno studio condotto dal Comitato Economico Congiunto del Congresso degli Stati Uniti, la “pink tax” costa alle consumatrici americane circa 1.351 dollari in più all’anno rispetto agli uomini. Questo dato non include solo prodotti di largo consumo, ma anche servizi come lavanderie e tagli di capelli, dove le tariffe femminili risultano spesso più alte.
Il World Economic Forum (WEF) ha discusso l’impatto economico della “pink tax” sulle donne, evidenziando come questa pratica aggiunga un onere finanziario, soprattutto considerando che le donne continuano a guadagnare meno degli uomini. Il WEF sottolinea che le disparità di prezzo basate sul genere sono prevalenti in diversi settori, in particolare nei prodotti per la cura personale come saponi, lozioni, rasoi e deodoranti.
Secondo il WEF, questa pratica:
- Penalizza economicamente le donne, in particolare quelle con redditi più bassi.
- Si manifesta in settori chiave come la cura personale, l’abbigliamento e i servizi.
- Rende più difficile per le donne accumulare risparmi e investire in beni durevoli.
L’impatto sociale ed economico della “pink tax”
La “pink tax” non è solo un problema di mercato: rappresenta un ostacolo sistemico all’equità di genere. Le donne, già svantaggiate da un divario salariale globale che secondo il WEF si attesta intorno al 20%, affrontano un ulteriore svantaggio economico legato a prezzi maggiori per beni di consumo essenziali.
1. Aumento del costo della vita
Le donne sono costrette a spendere di più per prodotti e servizi di uso quotidiano. Questa spesa aggiuntiva può sembrare minima su base settimanale, ma si traduce in migliaia di euro nel corso della vita.
2. Impatto sulle donne a basso reddito
Le donne con redditi bassi sono le più colpite dalla “pink tax”. Mentre un margine del 7-13% su un prodotto può essere insignificante per chi ha un alto potere d’acquisto, diventa un onere importante per chi lotta per arrivare a fine mese.
3. Rafforzamento degli stereotipi di genere
Molti prodotti destinati alle donne sono confezionati o commercializzati in modo diverso rispetto alle versioni maschili, con colori pastello o design “più femminili”. Questo non solo giustifica aumenti di prezzo ingiustificati, ma perpetua stereotipi di genere che influenzano negativamente il mercato.
Le reazioni internazionali e le iniziative per combattere la “pink tax”
La Commissione delle Nazioni Unite sullo Status delle Donne ha esortato i governi a eliminare la “pink tax” per promuovere l’uguaglianza di genere. Secondo le Nazioni Unite, la pratica non solo aggrava le disuguaglianze economiche, ma viola i principi fondamentali di equità e giustizia.
Alcuni paesi stanno adottando misure per contrastare la “pink tax”:
- Francia: Nel 2014, la Francia ha avviato una campagna di sensibilizzazione contro la differenziazione di prezzo basata sul genere.
- California (USA): Nel 1995, la California è diventata il primo stato a proibire la discriminazione di prezzo basata sul genere per i servizi.
E in Italia?
In Italia, il fenomeno della “pink tax” è presente, ma non esistono dati ufficiali estesi che quantifichino l’entità di questa disparità di prezzo su larga scala. Tuttavia, alcune indagini e iniziative hanno evidenziato differenze significative nei prezzi di prodotti destinati alle donne rispetto alle loro controparti maschili.
Tampon Tax:
Un aspetto correlato è la cosiddetta “tampon tax”, ovvero l’aliquota IVA applicata ai prodotti igienici femminili. Fino al 2021, in Italia, questi prodotti erano tassati con l’aliquota ordinaria del 22%, equiparandoli a beni di lusso. Nel 2022, l’IVA è stata ridotta al 10%, e successivamente, con la Legge di Bilancio 2023, al 5%. Nonostante ciò, alcuni prodotti come i pannolini per bambini e gli assorbenti per l’incontinenza continuano a essere tassati al 22%. Fonte: TrueNumbers
Iniziative e sensibilizzazione:
Sebbene non esistano leggi specifiche in Italia per contrastare la “pink tax”, il tema ha attirato l’attenzione di associazioni dei consumatori e media. Ad esempio, Federconsumatori ha evidenziato come alcuni prodotti femminili presentino prezzi significativamente più alti rispetto alle versioni maschili, senza giustificazioni legate a differenze di produzione o qualità.
Inoltre, campagne di sensibilizzazione e discussioni pubbliche hanno contribuito a portare l’argomento all’attenzione del pubblico, sebbene non siano ancora state adottate misure legislative specifiche per eliminare queste disparità di prezzo basate sul genere.
In sintesi, mentre l’Italia ha compiuto passi avanti nella riduzione della “tampon tax”, la questione più ampia della “pink tax” rimane in gran parte non affrontata a livello legislativo, con una mancanza di dati ufficiali e interventi mirati per eliminare le disparità di prezzo basate sul genere.
La “pink tax” non è solo un problema economico, ma una questione di giustizia sociale. Eliminare questa pratica richiede un’azione combinata da parte di governi, consumatori e aziende. Informare il pubblico, promuovere politiche di equità di prezzo e sensibilizzare le aziende sono passi fondamentali per garantire un mercato più giusto per tutti.
Le donne non dovrebbero pagare di più per lo stesso prodotto o servizio. Solo eliminando queste ingiustizie possiamo fare un passo concreto verso la parità di genere.
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